Giustizia & Impunità

Palermo, in carcere astensione di massa. Grasso: “E’ un segnale positivo”

Il procuratore nazionale antimafia, a Torino per presentare il suo ultimo libro: "Al penitenziario Pagliarelli vince il non voto? Forse Cosa nostra non aveva candidati. Si è forse interrotto il canale di collegamento e quindi il suggerimento sulle preferenze"

“Il mancato voto del carcere Pagliarelli di Palermo durante le ultime amministrative può essere interpretato come un segnale positivo” lo dice al fattoquotidiano.it il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, intervenuto al Salone internazionale del libro di Torino per presentare il suo ultimo libro “Liberi Tutti” (edizione Sperling & Kupfer).

Il riferimento è all’astensione assoluta dei detenuti del carcere Pagliarelli durante l’ultima tornata elettorale. “Non è una novità che i detenuti non si rechino in massa a votare – spiegano al Dap – ma lo zero assoluto può essere un segnale”. Da notare che l’astensione assoluta si è registrata solo al Pagliarelli, carcere di massima sicurezza in cui sono reclusi molti boss di Cosa nostra, mentre in 31 hanno votato nell’altro carcere cittadino, l’Ucciardone, istituto di media sicurezza.

“Forse Cosa nostra non aveva candidati – continua il procuratore Grasso – si è forse interrotto il canale di collegamento e quindi il suggerimento sul voto. Potrebbe trattarsi di una protesta da parte dei detenuti per le condizioni di vita nel carcere e se è quello il contenuto della protesta, avrebbero pure ragione”. Secondo Grasso il fatto che l’episodio si sia registrato a Palermo è indicativo comunque di una tendenza generale nel mondo carcerario e mafioso: “Palermo è un metro di valutazione”.

Parlando di carcere il Procuratore non vuole però commentare la notizia del presunto tentato suicidio del superboss Bernardo Provenzano, catturato nell’aprile del 2006, proprio mentre lui dirigeva la procura palermitana: “Ci sono indagini in corso, dobbiamo capire delle cose e partire da elementi certi”, è il suo unico commento. Dal Dap intanto si apprende che l’impressione degli agenti, intervenuti in soccorso di Provenzano, abbiano avuto l’impressione che il gesto sia stato dimostrativo, sia perché il superboss avrebbe infilato la testa nel sacchetto proprio al passaggio del personale penitenziario, sia per l’anomalia della prassi: chi si suicida in carcere usa altri strumenti, come lacci o materiale similare, uccidersi tenendo a mani nude un sacchetto è impresa quasi impossibile.