Non serve procedere alla registrazione della “testata” presso il Tribunale della Stampa per gestire un blog di informazione con la conseguenza che non si configura il reato di “stampa clandestina” previsto dalla vecchia legge sulla stampa laddove un blogger faccia informazione online senza aver prima provveduto a tale arcaica formalità.
E’ una conclusione ovvia, scontata, normale per chiunque sia figlio di questo secolo ed abbia chiaro che fare informazione non è un privilegio di pochi, né una concessione dello Stato ma una libertà fondamentale di tutti, sancita sin dal 1789 nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è del cittadino.
Meno ovvio, scontato e normale è che per veder affermato tale principio, nel nostro Paese, nel secolo della Rete, siano stati necessari oltre sei anni di processo, tre gradi di giudizio, migliaia di fogli di carta bollata ed una mobilitazione online con pochi precedenti nella storia del web.
Eppure è andata esattamente così.
Solo ieri i Giudici della Corte di Cassazione hanno, finalmente, fissato questo elementare principio, ribaltando le Sentenze di primo e secondo grado con le quali i Giudici del Tribunale di Modica e della Corte di Appello di Catania avevano condannato, per stampa clandestina, Carlo Ruta – giornalista, storico e blogger siciliano – per aver pubblicato il suo blog www.accadeinsicilia.net senza preventivamente preoccuparsi di registrare la relativa testata in Tribunale.
Alla notizia della Sentenza della Cassazione – le cui motivazioni non sono ancora note – in Rete sono partiti i festeggiamenti e si moltiplicano post e commenti nei quali si saluta con grande soddisfazione la decisione.
Reazione condivisibile e tentazione irresistibile quella di gioire dinanzi allo sgretolamento dell’ennesimo anacronistico tentativo di imbrigliare l’informazione sul web nei legacci e nella burocrazia pensati – oltre mezzo secolo fa – per i giornali di carta.
Non ci si può, tuttavia, non fermare a riflettere che, qualcosa [n.d.r. fosse solo qualcosa, potrebbe dire qualcuno] nel Paese non funziona, se centinaia di migliaia di cittadini si ritrovano “ridotti” a festeggiare una Sentenza che dice quanto in tutto il resto del mondo è ovvio e scontato.
Ma, soprattutto, guai a dimenticarsi che le precedenti Sentenze con le quali lo storico siciliano era stato condannato per stampa clandestina, affondano le proprie motivazioni in un quadro normativo – quello in materia di stampa ed editoria anche elettronica – pensato male e scritto peggio, che costituisce un indistricabile guazzabuglio di leggi e leggine che sembra disegnato ad arte per garantire ai soliti compagni di merende contributi e privilegi e per disincentivare e scoraggiare – al tempo stesso – chiunque altro dal fare informazione libera, specie fuori dal coro.
Sono, d’altra parte, le stesse leggi in forza delle quali la procura della Repubblica di Pordenone sta processando per esercizio abusivo della professione di giornalista l’amministratore di una società che gestisce una piattaforma di pubblicazione di contenuti audiovisivi realizzati dagli utenti e Telejato, tv comunitaria gestita da un’associazione non profit, rischia la chiusura non potendo migrare sulla piattaforma digitale terrestre sulla quale la legge ammette solo società commerciali.
Queste leggi vanno cambiate e vanno cambiate subito, se lo Stato ritiene, come dovrebbe, che la libertà di informazione – anche on line – costituisca volano indispensabile per il futuro del Paese.