La serie di cantonate messe in fila negli ultimi dieci anni suggerisce di maneggiare sempre con una certa cautela le previsioni delle agenzie di rating. Tuttavia quando la più grande al mondo, la statunitense Standard and Poor’s, parla di una “tempesta finanziaria perfetta” da 46mila miliardi di dollari (35mila miliardi di euro) che potrebbe abbattersi sull’economia mondiale nei prossimi 4 anni è inevitabile che qualche brivido lungo la schiena corra. Dovendo certificare i livelli di rischio di obbligazioni societarie e titoli di Stato di mezzo mondo l’agenzia ha, o dovrebbe avere, accesso a informazioni privilegiate su cui basare le sue previsioni. Diventa quindi interessante capire come sia giunta a delineare questa prospettiva apocalittica.
Secondo Standard and Poor’s tra il 2012 e il 2016 le imprese di tutto il mondo avranno bisogno di circa 30mila miliardi di dollari per rimpiazzare obbligazioni e prestiti bancari contratti prima della crisi arrivati a scadenza. A questa montagna di denaro vanno aggiungono altri 12-16 mila miliardi necessari per finanziare nuovi investimenti. Il problema è che questa gigantesca caccia al tesoro si apre nel momento in cui le banche stanno cercando di rimettere ordine nei loro bilanci riducendo i prestiti. Inoltre, governi alle prese con debiti pubblici in crescita esponenziale e banche centrali che hanno già sparato molte delle cartucce che avevano in canna difficilmente potranno essere di grande aiuto. Il responsabile dello studio, Jayan Dhru, conclude “se a tutto questo si aggiunge il protrarsi della crisi nella zona euro, una ripresa americana debole e il probabile rallentamento della crescita cinese, i rischi di una tempesta perfetta nel mercato del credito si fanno più concreti”.
A preoccupare Dhru non sono tanto i 30mila miliardi di prestiti a scadenza, noti da tempo e che il mercato dovrebbe riuscire ad assicurare, quanto i 16 mila miliardi di nuovi capitali che il sistema finanziario globale non pare nelle condizioni di poter interamente garantire. La più affamata di denaro è ovviamente la Cina che nei prossimi 4 anni avrà bisogno di 9.600 miliardi di dollari per nuovi investimenti e di 7.500 miliardi per sostituire prestiti in scadenza. L’Europa conferma il suo scarso dinamismo con una necessità di “soli” 2300 miliardi freschi a fronte di 1700 che serviranno per sostituire bond e soprattutto di 9.700 per rifinanziare i prestiti con le banche. In mezzo gli Stati Uniti le cui società si rivolgeranno a banche e mercati per reperire 3000 miliardi di nuovi fondi e altri 8600 miliardi per le scadenze.
Getta però acqua sul fuoco il professor Marco Bigelli, che insegna finanza di impresa all’Università di Bologna e che giudica l’allarme di S&P in gran parte ingiustificato. “Qualche problema – spiega Bigelli – potrebbe presentarsi solo nei paesi europei periferici per quanto riguarda i prestiti verso il settore bancario. E questa non è una novità”. “L’Asia – continua – ha un sistema bancario in salute e continua a godere di un enorme afflusso di denaro. Lo stesso si può dire degli Usa dove continuano ad arrivare i capitali che escono dall’area euro in crisi”. ll professor Bigelli fa anche notare come il rapporto non dica se il fabbisogno finanziario sia cresciuto o meno e non tenga neppure conto dell’enorme massa di liquidità che le imprese hanno messo da parte in questi anni per fronteggiare le difficoltà legate alla crisi. La sola Apple ha ad esempio accantonato 80 miliardi di dollari a fini precauzionali.
Nell’allarme dell’agenzia ci sarebbe insomma una buona dose di sensazionalismo. Con un pizzico, ma solo un pizzico, di malizia si potrebbe allora pensare che l’ “esternazione” di Standard and Poor’s, società di fatto in mano ad un manipolo di giganteschi fondi statunitensi (BlackRock e Capital World Investors su tutti), possa essere solo l’ennesimo annuncio choc utilizzato per orientare gli umori dei mercati nella direzione più gradita ai suoi potenti soci.