L'american way del recupero dell'evasione e la storia della Wegelin, cresciuta grazie al "doping" dei clienti che chiudevano il conto all'Ubs, già nel mirino delle autorità Usa, per trasferire il denaro. Ma la reazione di Washington è stata dura: l'istituto si è dovuto arrendere
Chiamatela, se volete, la cura americana. Serve a guarire le banche svizzere dal deprecabile vizio di fare ponti d’oro agli evasori fiscali col passaporto Usa. È un metodo spiccio, ma si è rivelato efficace, almeno finora. Prendiamo un caso concreto, giusto per dare un’idea di come funziona l’american way.
La Banca Wegelin, istituto di media grandezza con base a San Gallo cresceva da anni a tutta velocità grazie al doping dei clienti americani. Tutti evasori, o quasi. Gente che aveva pensato bene di chiudere il conto all’Ubs, finita nel mirino delle autorità statunitensi, e trasferire il denaro nella meno esposta Wegelin.
La reazione di Washington è stata pesantissima. A gennaio tre funzionari della banca svizzera sono stati formalmente incriminati da un tribunale di Manhattan con l’accusa di aver aiutato una settantina di cittadini americani a nascondere al fisco 1,2 miliardi di dollari in Liechtenstein, a Panama e Hong Kong. Erano tutti ex clienti Ubs covinti dai tre funzionari a passare alla Wegelin considerata al riparo dalla reazione Usa perchè non ha uffici sul territorio americano. I banchieri avevano sbagliato i loro calcoli. La Giustizia Usa si è mossa comunque, bloccando i tre collaboratori della Wegelin di passaggio sul territorio americano. A febbraio la banca è stata formalmente incriminata dal Dipartimento della Giustizia di Washington per aver facilitato una colossale evasione fiscale. Il colpo è stato pesantissimo.
Alla fine l’istituto sotto accusa ha dovuto alzare bandiera bianca. Nel senso che, per effetto anche delle pressioni del governo Berna, ansioso di chiudere l’incidente con gli americani, la Wegelin ha preferito cedere tutte le attività a un’altra banca elvetica, la Raiffeisen.
Questo però è solo l’ultimo episodio, il più clamoroso, di un conflitto ancora in pieno svolgimento. Sono almeno 11 gli istituti svizzeri che stanno trattando con gli Stati Uniti per chiudere contenziosi in materia fiscale. L’Ubs, la più grande banca elvetica, ha chiuso le sue pendenze nel 2009 pagando una multa di 780 milioni di dollari, più di un miliardo di euro. Ma il guaio peggiore, per l’istituto, è un altro. Già, perché nel 2010 il governo svizzero ha siglato un accordo con Washington per consegnare al fisco Usa una lista di 4.500 evasori americani con un conto all’Ubs. Intanto altri grandi nomi del mondo finanziario svizzero, come il Crédit Suisse e la banca Julius Baer, stanno cercando di chiudere il contenzioso con gli Usa.
Nei giorni scorsi è circolata la voce che anche Pictet & Cie, il grande istituto ginevrino specializzato nella gestione di patrimoni, sarebbe al centro di una nuova indagine. Di processo in processo l’assedio americano potrebbe continuare ancora a lungo. Almeno fino a quando Washington non avrà raggiunto l’obiettivo finale della sua offensiva. E cioè la consegna al Fisco Usa dell’elenco completo di tutti i clienti statunitensi delle banche svizzere con un deposito superiore ai 50mila dollari. Questo è quanto prevede una legge americana, il Facta, una sigla che sta per Foreign account tax compliance act. Questa norma sarebbe la pietra tombale sul segreto bancario. E sugli affari della finanza svizzera.