Un’inchiesta del settimanale tedesco
Der Spiegel, pubblicata oggi sul
Fatto, rivela che la Germania non pensava che l’Italia fosse pronta per entrare nell’euro, tra il 1997 e il 1998, e che aveva presentato conti un po’ creativi per dimostrare di aver raggiunto gli obiettivi. Eppure
l’ha voluta comunque nella moneta unica, nonostante il suo debito esorbitante, perché non si poteva escludere uno dei fondatori dell’Europa. E perché la Germania temeva concorrenti fuori dall’euro e con una valuta debole.
Lodevole atto di trasparenza, quello del governo di Berlino che ha reso disponibili le carte ai giornalisti. A essere maliziosi, però, si nota un sospetto tempismo. Lo Spiegel ci ricorda che siamo nell’euro per gentile concessione di Kohl, oltre che per la determinazione di Ciampi e Prodi. Che non siamo poi così diversi dalla Grecia che truccava il deficit per farsi ammettere. E che dunque non abbiamo le credenziali per poter dettare la linea alla zona euro. Oggi come allora, sembra il sottotesto, le decisioni ultime spettano soltanto alla Germania. Il messaggio a Mario Monti pare chiaro: grazie per il tuo contributo a risanare l’Italia e arginare il panico da spread, ma non pensare di avere l’ultima parola nell’ormai cronica tensione tra rigore contabile e spinte alla crescita.
Il 23 maggio si tiene un vertice informale a Bruxelles in cui a rappresentare la Francia ci sarà François Hollande e il suo desiderio di rinegoziare l’ossessione fiscale della Germania esplicitata nel trattato “fiscal compact”. Entro giugno si capirà se è possibile arginare Angela Merkel e trattenere la Grecia nel perimetro dell’euro. Nel frattempo, Monti sta restituendo un po’ di legittimità alle istituzioni europee asfaltate nei tre anni di crisi dai tedeschi. In cambio, la Commissione gli ha perdonato di non riuscire a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013.
Da Berlino continuano ad arrivare segnali di nervosismo che hanno spinto il presidente del Consiglio a una dichiarazione di insolita violenza, quando venerdì ha ricordato che “ci sono molti modi nel mondo contemporaneo per diventare colonie” e che l’Italia è disposta ai sacrifici, ma vuole “lo stesso grado di autonomia e di decisione responsabile” degli altri partner europei. Proprio la vicenda rievocata dallo Spiegel dimostra che non c’è Europa senza Italia e non c’è Germania senza Europa. Prima o poi se ne accorgerà anche la Merkel, speriamo non troppo tardi.
Il Fatto Quotidiano, 13 maggio 2012