“La Germania ha gestito la globalizzazione in modo consapevole, avere paesi come l’Italia dentro la moneta unica ha reso l’euro una moneta più debole di quanto sarebbe stata altrimenti e ha permesso a Berlino di esportare”. Vincenzo Visco era ministro delle Finanze ai tempi del governo Prodi, tra il 1996 e il 1998, e a lui era affidato “il lavoro sporco”, cioè tassare gli italiani per ridurre il deficit quel tanto che bastava da permettere all’Italia di entrare nell’euro.

Professor Visco, l’inchiesta dello Spiegel dimostra che la Germania non considerava affidabili i nostri conti.
Quando siamo entrati nell’euro era tutto in regola. Certo, nel 1997 rimasero tutti sorpresi che ce l’avessimo fatta, ma i nostri numeri erano certificati dall’Eurostat.

Ma l’Italia non è mai riuscita a rimanere nei parametri di Maastricht.
Entrammo con il deficit al 2,7 per cento del Pil, facendo l’eurotassa. Quando la sinistra tornò all’opposizione, nel 2001, lasciammo un avanzo primario di 5 punti, quello che adesso si cerca invano di raggiungere. I nostri guai derivano dalle scelte successive: si doveva continuare con il rigore, come richiedeva l’euro. Ma al governo c’era il centrodestra, da sempre ostile alla moneta unica, e le sue politiche hanno messo le basi dei guai attuali.

Avete mai avuto dubbi sulla possibilità di centrare gli obiettivi?
Siamo sempre stati ragionevolmente sicuri. Perché aumentando il surplus primario, scendeva il costo del debito. Scambiammo un aumento temporaneo di tasse con una riduzione permanente degli interessi da pagare. Eravamo tranquilli perché il distacco dal deficit al 3 per cento era minore di quanto risultava dai dati contabili.

Perché?
Man mano che facevamo correzioni, gli interessi scendevano. Gran parte del lavoro lo facevano i mercati. Il contrario di quello che succede oggi, quando gli investitori distruggono i risultati ottenuti dai governi, facendo salire i tassi sul debito. Siamo tornati in una situazione analoga a prima dell’euro. Ma l’euro c’è e ci vincola.

Ci sono mai stati momenti di tensione con i tedeschi?
Le relazioni con la Germania le gestiva Carlo Azeglio Ciampi che aveva una grandissima credibilità ed era molto abile. Io ricordo i rapporti con l’Olanda che erano molto difficili, proprio non ci volevano. Poi si convinsero. Però era chiaro a tutti che non avremmo mai avuto il debito al 60 per cento del Pil. Allora il Belgio era al 125 e stava peggio di noi. Poi loro sono scesi a 80-85 prima del 2008, quando sono fallite le banche e sono tornati in crisi. Hanno tenuto una politica rigidissima di bilancio, con una pressione fiscale superiore di 2 punti a quella media europea. Se uno vuole stare nell’euro deve mantenere il bilancio con un surplus primario, c’è poco da fare.

Qual è stato il momento più critico del percorso di accesso all’euro?
All’inizio sembrava che dovessimo entrare un anno dopo gli altri, perché il governo Dini aveva posto il 1998 anziché il 1997 come temine per rispettare il vincolo del 3 per cento tra deficit e Pil. Ma nessuno si era accorto che Ciampi si era tenuto una strada aperta, scrivendo in una riga del Dpef che si poteva anticipare. Poi Romano Prodi andò in Spagna e José Aznar gli disse che Madrid sarebbe entrata e fu molto sprezzante nei confronti dell’Italia. Quando Prodi tornò fece una riunione con Ciampi, Enrico Micheli, Tiziano Treu, e me. Si decise di provarci comunque per il ’97. Ma l’unico modo era fare una manovra dal lato delle entrate, il lavoro sporco fu delegato a me.

E se fossimo rimasti fuori?
Un’Italia fuori dall’euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i paesi, tranne la Russia da cui compra l’energia. Era un disegno razionale, serviva l’Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole. In cambio di questo vantaggio sull’export la Germania avrebbe dovuto pensare al bene della zona euro nel suo complesso.

E lo ha fatto?
Non mi pare.

Twitter @stefanofeltri

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