La casa automobilistica chiede il concordato, ma Gianluca Rossignolo racconta di tutti i bastoni tra le ruote: "Tutto è iniziato quando la Fiat ci sfilò la ex Bertone, acquistandola fuori tempo massimo". Poi l'acquisizione di Pininfarina. Ma la giunta Cota ha sospeso i finanziamenti. Così in gioco ci sono ora oltre 1000 posti di lavoro
La De Tomaso è ad un passo dal fallimento ma la famiglia Rossignolo, che ha rilevato il marchio della storica azienda automobilistica, sembra aver incontrato nel proprio cammino imprenditoriale più di un ostacolo. Gianluca Rossignolo, responsabile commerciale e marketing della De Tomaso, racconta al Fatto.it cosa accadde nel luglio 2009 quando il padre, Gian Mario, ex presidente Telecom, titolare dell’impresa, era ad un passo dal rilevare l’ex Bertone, la nota carrozzeria di Grugliasco (Torino), al tempo in crisi e commissariata. Ma si è visto sfilare l’affare dalla Fiat quando ormai aveva praticamente in mano le chiavi della celebre carrozzeria, fuori tempo massimo e a bando di gara già scaduto. Tanto che i Rossignolo hanno presentato due ricorsi al Tar: uno per risarcimento danni ancora pendente contro il ministero dello Sviluppo Economico, il secondo sulle procedure adottate per la vendita della ex Bertone.
Subito dopo, in accordo con la Regione Piemonte, targata allora centrosinistra, che avrebbe sostenuto anche una parte finanziaria del progetto, la De Tomaso ha tentato di rilanciare gli stabilimenti Pininfarina ormai in bancarotta. Nel frattempo però con il cambio di amministrazione e l’insediamento di Roberto Cota in Regione gli accordi ed i finanziamenti sono stati sospesi ed ora mille lavoratori rischiano di finire per strada.
“Il 14 luglio del 2009 i tre commissari governativi che gestivano l’ex Bertone, a quel tempo in amministrazione controllata, mi hanno assicurato l’acquisizione dell’azienda, dopo un anno e mezzo di consulenze, due diligence, avvocati e messa a punto del piano industriale per poter rilevare la celebre carrozzeria di Grugliasco – dichiara Gianluca Rossignolo – Il 16 luglio invece l’azienda è stata acquisita dalla Fiat, fuori tempo massimo, visto che il bando per le offerte di acquisizione era scaduto a giugno”. La De Tomaso ormai è sull’orlo della bancarotta: il bilancio dell’azienda avrebbe chiuso con un rosso superiore ai 20 milioni di euro. Il 2 maggio scorso è stato chiesto il concordato preventivo, l’ultima chance che ha l’azienda per evitare il fallimento e per scongiurare il dramma di 1000 dipendenti, padri e madri di famiglia, che perderanno il lavoro. Ora il tribunale dovrà verificare se ci sono le condizioni per dare il via libera a un accordo con i creditori.
Una storia piena di zone d’ombra quella dell’acquisizione della ex Bertone che ha visto il suo destino mutare improvvisamente, passando dall’acquisto certo della famiglia Rossignolo alla vendita alla Fiat. Una vicenda che parte da lontano, quando già alla fine del 2007 Gian Mario Rossignolo, titolare della De Tomaso, sembrava essersi aggiudicato l’ex Bertone. Il 28 dicembre 2007 è stata raggiunta un’intesa preliminare con Lilli Bertone, presidente dell’azienda, di acquisto della celebre carrozzeria; un accordo firmato anche dal ministero dello Sviluppo Economico. Il 2 gennaio del 2008 ci sarebbe dovuto essere il passaggio ufficiale con il rogito dal notaio ma la signora Bertone, il 31 dicembre 2007 inspiegabilmente e all’insaputa delle figlie e degli altri parenti azionisti, ha venduto tutta la holding, quindi anche l’ex carrozzeria ad un certo Domenico Reviglio. A seguito di questa strana operazione è intervenuta la magistratura che ha commissariato l’azienda.
Tra l’altro, l’offerta presentata da Rossignolo il 28 dicembre 2007 al ministero dello Sviluppo Economico ed il relativo piano industriale, hanno fatto scattare la cassa integrazione straordinaria per i dipendenti della ex Bertone, in attesa del rilancio industriale, ma forse l’allora ministro Scajola ha ratificato l’accordo a sua insaputa visto che il 16 luglio 2009, dopo un anno e mezzo di commissariamento e dopo aver assicurato la carrozzeria di Grugliasco a Gian Mario Rossignolo, l’ha consegnata a Marchionne.
“Non potrò mai dimenticare quella data. Il 14 luglio ho incontrato i tre commissari governativi che mi hanno comunicato che il 17 luglio mi avrebbero consegnato le chiavi della ex Bertone perché la mia offerta era l’unica percorribile. Il giorno prima della consegna invece l’azienda è stata venduta a Marchionne”, denuncia Rossignolo. Un’acquisizione lampo della Fiat: “Noi abbiamo eseguito alla lettera il regolamento posto dai tre commissari per l’assegnazione della Bertone, rispettando tutta una serie di passaggi. Il bando si è concluso nel mese di maggio e l’offerta finale doveva essere presentata entro giugno, come noi abbiamo fatto. La Fiat non ha fatto nulla, aspettando che noi depositassimo l’offerta per poi ottenere la riapertura del bando da Scajola, fare la sua offerta volante ed ottenere l’ex Bertone”, spiega Rossignolo. Quasi un bando ad personam, anzi ad aziendam.
Da una parte un’azienda che impiega mesi e mesi per valutare gli assets e preparare il piano industriale, dall’altra un gigante industriale che entra a gamba tesa ed in due giorni conclude l’affare. “Tra l’altro – spiega il dirigente – Marchionne non ha mai dimostrato interesse all’acquisizione. All’inizio di questa avventura abbiamo chiesto ufficialmente alla Fiat se voleva acquistare l’ex Bertone e ci è stato risposto che non era nei piani aziendali. Se avessi saputo che Marchionne voleva comprare la carrozzeria di Grugliasco non avrei partecipato alla gara, spendendo tempo e soldi. Una scelta anche condivisibile quella dei commissari di affidare l’ex Bertone alla Fiat ma certamente la procedura non è stata corretta e trasparente”. Uno ‘scippo’ che in parte ha influito sul fallimento della storica azienda automobilistica: “Complessivamente per quella vicenda abbiamo perso dai 3 ai 4 milioni di euro”.
L’affare Pininfarina. Nel frattempo la Regione Piemonte nell’estate del 2009 ha proposto alla De Tomaso, acquisita dai Rossignolo, di investire negli stabilimenti Pininfarina, ormai in stato fallimentare con circa 700 milioni di euro di debiti contratti con le banche, con il piano industriale che la famiglia Rossignolo aveva presentato per rilevare l’ex Bertone. Mentre però l’ex Bertone aveva impianti industriali di proprietà, gli stabilimenti Pininfarina erano ipotecati dalle banche che ovviamente, per il riutilizzo a fini produttivi degli stessi, volevano essere ripagate.
Inoltre mentre la famiglia Bertone aveva ancora dei soldi da mettere sul piatto i Pininfarina non potevano investire neanche un euro. Per questa serie di fattori fu necessario l’intervento delle istituzioni per permettere il rilancio industriale della Pininfarina targato De Tomaso. I Rossignolo volevano mettere in piedi in Italia un mercato alternativo dell’auto. “Per la produzione del primo modello di auto servivano quindi complessivamente circa 52 milioni di euro: la metà circa l’avremmo messa noi ed il resto, la Regione Piemonte, allora amministrata dal centrosinistra, e le banche. Questo era l’unico modo per partire con la produzione perché, al contrario dell’ex Bertone, in Pininfarina, non avendo gli immobili di proprietà da usare come garanzia per una linea di credito consistente, non potevamo accedere a mutui di nessun tipo” spiega Rossignolo.
Nel 2010 quindi la De Tomaso rileva la Pininfarina, garantendo 2 anni in più di cassa integrazione e una formazione professionale specifica agli operai, ed investe circa 35 milioni di euro di cui una parte, 7 milioni e mezzo, finanziati dalla Regione Piemonte che nel frattempo però cambia amministrazione con la vittoria del centrodestra alle amministrative. “Da quel momento abbiamo visto sospendere qualsiasi forma di finanziamento o di accordo fatto con la precedente amministrazione e addirittura la Regione Piemonte ha chiesto un intervento della Procura della Repubblica per capire se i 7 milioni e mezzo già erogati dallo Stato, certificati a suo tempo con fatture emesse regolarmente, li avessi spesi a titolo personale”. Morale della favola: ora la De Tomaso, che ha cercato comunque soluzioni alternative ed investimenti esteri per far partire la produzione, rischia il fallimento e circa 1000 dipendenti andranno a casa.
“Se ci fosse un’alternativa, se la Regione avesse una soluzione differente e valida sarei ben contento – prosegue il manager – ma purtroppo al momento non c’è. Noi siamo praticamente pronti, con un prodotto a circa 10 mesi dall’industrializzazione e investimenti già fatti. Dall’altra parte invece di cercare di capire come risolvere la situazione si specula sulla disperazione della gente, con un assessore al lavoro della Regione Piemonte come Claudia Porchietto che fa campagna elettorale sulla pelle degli operai che ormai, giustamente, protestano e compiono gesti disperati come incatenarsi davanti casa nostra”
Non sembra dello stesso avviso l’assessore regionale all’Industria, Massimo Giordano: “Per mesi, fin dall’inizio della legislatura, abbiamo deciso volontariamente di provare a mettere a disposizione ogni risorsa possibile per poter sostenere un’iniziativa industriale che desse lavoro certo a qualche centinaio di persone. Ma non abbiamo trovato mai un interlocutore che fosse disponibile a mettere chiaramente sul tavolo proposte concrete”. E se Atene piange Sparta non ride. Alla ex Bertone i numeri non tornano. L’ad di Fiat, Marchionne, aveva annunciato la produzione di 50mila Maserati l’anno in quelle che oggi si chiamano Officine Grugliasco ma sembra che se ne fabbricheranno circa la metà.
di Luca Teolato