Oggi, mentre i ministri delle finanze europei si riunivano a Bruxelles, i mercati segnalavano la loro sfiducia verso l’Europa. L’esito delle elezioni greche ha esaltato le debolezze della governance europea e gli investitori hanno immediatamente alleggerito le proprie posizioni su titoli di stato e borse europee. Il Btp decennale è arrivato a toccare i 435 punti si spread sul Bund tedesco mentre la Borsa, arrivata a perdere in giornata il 3,60% ha chiuso a – 2,74%.
Ma c’è a chi è andata peggio, la Spagna è entrata in una spirale debito privato insolvente, banche deboli, costo del debito pubblico alle stelle che ricorda molto da vicino la dinamica che ha portato l’Irlanda al collasso. La dimensione è l’unica cosa che cambia, la Spagna ha mille miliardi di euro di debito pubblico e le sue banche sono di dimensioni tali da poter trascinare nell’abisso tutta l’Europa. Così lo spread dei titoli di stato spagnoli è schizzato a 490 punti e la borsa di Madrid ha perso il 3 per cento tornando sui livelli più bassi dal 2003. Il motto generale del mercato era “out of Europe” e si sono visti fondi liquidare posizioni sui paesi periferici con vendite di 1 miliardo a botta, chi deve per forza avere in portafoglio euro (banche centrali e fondi specializzati) ha comprato Bund visto come l’ultima protezione nei confronti di una disintegrazione dell’Euro area.
Le banche e i fondi italiani hanno fatto la loro parte comprando integralmente le emissioni di Btp fatte dal Tesoro, ma chi ha accesso alle tesorerie più importanti del Paese sa che le munizioni stanno per finire e se prima i grandi istituti riuscivano a tenere lo spread sotto 400 oggi si accontenterebbero che non sfondasse i 450 punti. Le parole di un famoso gestore di hedge fund valgono più di mille analisi: “Spagna e Italia sono su uno scivolo, per quanti sforzi facciano non riescono a risalire verso il punto di partenza e si avvicinano ogni giorno di più all’abisso”. Un quadro confermato dai dati rilasciati da Bankitalia che mostrano entrate fiscali in calo del 3,6 per cento nei primi tre mesi del 2012 rispetto allo stesso periodo di un anno fa.
Il gelo è calato nelle sale operative quando le agenzie hanno diffuso la notizia: i trader sono tutti in attesa del primo dato sul Pil italiano dell’anno che sarà reso noto mercoledì, l’antipasto fornito dalla Banca d’Italia non fa ben sperare, ed allora si vende o quanto meno non si compra a nessun prezzo. Ma anche questo sarebbe superabile se si vedesse una luce all’orizzonte, se la Germania avesse dato segnali di voler cambiare lo statuto della Bce per usarla come prestatore di ultima istanza, ma le dichiarazioni della cancelliera Angela Merkel di oggi e quelle del presidente della Bundesbank di domenica non lasciano dubbi: non dobbiamo aspettarci nessun cambiamento repentino delle linee guida della politica monetaria.
A cosa possono aggrapparsi allora gli investitori per tornare a comprare il debito dei paesi periferici? In un cavaliere bianco che corra in soccorso del vecchio continente? Gli Usa si sono rifiutati di sottoscrivere l’aumento di capitale del Fmi per eventuali ulteriori aiuti all’Europa e la Cina ha fatto sapere tramite il suo fondo sovrano che non acquisterà più titoli pubblici dell’area euro. Le porte sono tutte chiuse, presto si chiuderanno anche le porte del mercato e sarà sempre più difficile collocare i nostri titoli di debito pubblico. Non sembra che questo governo abbia ancora capito il senso dell’urgenza, si è cullato per troppi mesi su un restringimento dello spread che era dovuto esclusivamente alle immissioni di liquidità della Bce e non ha affrontato di petto i nodi fondamentali della governance europea. Mario Monti ama ripetere “ci avete chiamato perché il paese era sull’orlo dell’abisso”, non vorremo che ci avesse fatto fare un passo in avanti.