L'ultimo caso è quello di Junior Seau. Prima di lui si erano sparati Duerson e Easterling. I tre campioni hanno lasciato detto: "Fate analizzare i resti in laboratorio". Il gesto infatti vale come atto di accusa: gli atleti sono sottoposti a troppi colpi in testa con effetti drammatici: stati confusionali, depressione, demenza precoce
E’ morto la settimana scorsa Junior Seau, il “diavolo della Tasmania”, grande linebacker del campionato di football americano, l’Nfl. Molti successi tra San Diego, Miami e Boston, anche se senza mai l’acuto del Superbowl, e ritiratosi da appena due anni, si è sparato un colpo al petto, uccidendosi nello stesso modo di Dave Duerson e Ray Easterling, anche loro ex giocatori della Nfl. Discreti giocatori, molto meno famosi di Seau, hanno però una cosa in comune, la motivazione del terribile gesto: un tragico atto di accusa contro un mondo, quello del football americano, dove gli atleti sono sottoposti a tante, troppe botte in testa. E le conseguenze sono crudeli: commozioni celebrali, depressione, stati confusionali, demenza precoce, malattie neurodegenerative.
Ray Easterling è stato difensore degli Atlanta Falcons negli anni settanta. Terminata la carriera, divenne famoso perché nel 2011, insieme ad altri ex giocatori di football americano, fu promotore di una class action contro la Nfl. L’accusa nelle parole del suo avvocato: “A questi ragazzi per anni è stato detto di cercare lo scontro con le loro teste, adesso la Nfl deve ammettere che c’è una correlazione con i problemi di salute emersi alla fine della carriera”. Il procedimento è in corso a Philadelphia. Da parte sua, la Nfl ha sempre declinato ogni responsabilità e fino ad ora ha solo distribuito un nuovo manuale su come evitare scontri pericolosi con la testa. Inserendo poi nel regolamento l’obbligo di una visita da specialisti esterni prima del rientro in campo per i giocatori che siano stati fuori per infortuni alla testa.
Dave Duerson ha giocato tra Chicago, New York e Phoenix tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. E’ stato trovato morto in casa sua in Florida nel febbraio del 2011. Prima di spararsi un colpo di pistola al petto, Dave ha mandato un sms ai suoi famigliari chiedendo loro che il suo cervello fosse mandato al laboratorio della Boston University School of Medicine, specializzato nella ricerca sulla encefalopatia traumatica cronica che affligge molti atleti professionisti del football americano. Nel maggio del 2011, i neurologi dell’Università di Boston hanno stabilito che Duerson soffriva di una malattia neurodegenerativa causata dalle botte in testa prese sul campo da gioco.
La decisione della famiglia di Junior Seau, arrivata pochi giorni dopo il suicidio del “diavolo della Tasmania”, di donare il cervello dell’ex giocatore ai ricercatori del medesimo laboratorio perché possano investigare, chiude il cerchio. Seau non ha lasciato lettere, né mandato messaggi. Nulla indica che il suo gesto sia stato un atto di accusa nei confronti della Nfl o il modo estremo per consegnare il suo cervello ai ricercatori, prima che fosse troppo tardi. Anche perché non ha mai rilasciato dichiarazioni pubbliche in merito. Non ha voluto neppure prendere parte alla class action promossa da Ray Easterling nel 2011. Eppure nel 2010 tentò una prima volta il suicidio, buttandosi da un burrone al volante del suo suv, anche se poi in seguito sostenne di essersi semplicemente addormentato alla guida.
E se Seau non aveva mai ammesso problemi salute, lo ha fatto però all’indomani del suo terribile gesto l’ex moglie, sostenendo che, anche se non era sicura fosse il motivo del suicidio, di sicuro Junior aveva subito troppe botte in testa durante la sua carriera e non stava bene. Non ha invece alcun dubbio Kyle Turley, anche lui ex giocatore della Nfl. “Non mi interessa quello che dicono gli altri, io so perché Junior lo ha fatto – ha detto Turley alla Associated Press – Voleva che il suo cervello fosse studiato, come quello di Duerson, per individuare i segni di possibili traumi dovuti agli scontri da gioco”. Il laboratorio della Boston University School of Medicine entro novanta giorni darà una risposta.