Al collaboratore di giustizia, secondo il suo racconto, sarebbe stato chiesto dalla cosca di fare il "finto pentito". La famiglia calabrese aveva portato avanti "un riciclaggio da 70 milioni di euro che non andò a buon fine e dentro c'erano anche fondi neri dei partiti"
“Nel 2011 i De Stefano mi chiesero di fare il finto pentito e di toccare anche la Lega”. Lo ha raccontato all’agenzia di stampa Ansa, il collaboratore di giustizia, Luigi Bonaventura, che è stato sentito nel filone calabrese con al centro l’ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito. Il pentito ha chiarito di non aver accettato la “proposta”. La cosca De Stefano, ha aggiunto, aveva portato avanti “un riciclaggio da 70 milioni di euro che non andò a buon fine e dentro c’erano anche fondi neri dei partiti”.
Bonaventura, che è stato reggente dell’omonima cosca del Crotonese e che collabora con diverse Procure dal 2007, ha spiegato di essere stato “abbordato” più volte dai De Stefano da quando ha iniziato la collaborazione. In particolare, l’anno scorso gli uomini della cosca – centrale nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che vede tra gli indagati per riciclaggio Belsito e l’uomo d’affari Romolo Girardelli – “mi hanno avvicinato facendomi capire che mi potevano dare soldi e potevano aggiustare i processi, se io avessi fatto il finto pentito per loro”.
Bonaventura non ha “accettato” e ha continuato a collaborare con i magistrati “nell’interesse della verità”. E, da quanto si è saputo, nell’audizione dei giorni scorsi davanti al pm della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ha raccontato “le cose che aveva saputo sulla Lega”. Ha parlato di un summit del 2006 nel corso del quale un boss della ‘ndrangheta, Pasquale Nicosia (famiglia forte nel Varesotto, ndr), avrebbe detto: “Il partito che odia i terroni ce l’abbiamo in mano”. Boss, che stando al racconto del pentito, avrebbe fatto anche riferimento a “Romolino”, ossia Girardelli. Il pentito, nel colloquio con l’Ansa, ha spiegato che era in corso da parte della cosca una “operazione di riciclaggio da 70 milioni di euro e c’erano da riciclare anche i fondi neri dei partiti, ma qualcosa non ha funzionato”.
Bonaventura però lamenta ormai da tempo “l’assenza di tutele per me e per i miei figli”. Non ha, infatti, una scorta personale, se non quando viene accompagnato per le audizioni davanti ai magistrati, “e nemmeno i miei figli ce l’hanno”. E lancia perciò un appello alle istituzioni: “Chiedo di poter andare a vivere all’estero con i miei figli e ricostruire una vita normale, continuando comunque a collaborare, perchè io sono un ‘pentito verò e ormai ho spezzato la catena che mi legava alla ‘ndrangheta”. Per quello che ha messo a verbale davanti ai pm ora Bonaventura dice di essere “una bomba che cammina e che esploderà, perchè mi faranno fuori. Vivo a Termoli e tutti lo sanno, non vado a prendere i miei figli a scuola perchè so che potrebbe succedere qualcosa, ma le istituzioni, anche locali, devono muoversi per tutelarmi”. E oggi, conclude il pentito, “il mio avvocato ha saputo dal pm di Catanzaro (la prima Procura per cui iniziò la collaborazione, ndr) che potrebbero addirittura revocarmi il programma di protezione, mentre io chiedo più tutele”.
Il nome della famiglia De Stefano è appunto emerso nella tranche reggina dell’indagine sulla Lega e sull’investimento in Tanzania. Per gli inquirenti calabresi Romolo Girardelli detto “l’ammiraglio”, cui viene contestata l’aggravante della finalità di mafia (armi, supporto logidstico a un latitante e messa a disposizione di somme di denaro destinate alla monetizzazione di strumenti finanziari atipici, ndr) è un vicino ai De Stefano e sarebbe il “procacciatore d’affari” per il consulente legale Bruno Mafrici (interrogato nei giorni scorsi, ndr), ma anche per l’imprenditore veneto Stefano Bonet e lo stesso Belsito.
Tutti e quattro gli indagati sono legati da compartecipazioni societarie: la Effebimmobiliare e la Polare. Insieme avrebbero trasferito i soldi della Lega all’estero archittetando “complesse operazioni di esterovestizionee filtrazione in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa” ovvero il drenaggio dalle casse della Lega. Nella relazione degli investigatori della Dia di Reggio Calabria, che indagano per riciclaggio, è stato definito un ruolo anche aell’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli (non indagato, ndr) e su come avesse cercato di mettere a tacere, su incarico dello stesso leader Umberto Bossi, le pretese di Bonet, che aveva anticipato 200 mila euro a Belsito per un affare parallelo all’investimento in Tanzania. Affare che doveva concludersi tramite la filiale cipriota della tanzanese Fbme bank; istituto di credito sospettato dagli americani, Fbi e Dea, di essere veicolo di soldi per trafficanti di armi e terrorismi islamici.
Ma non solo Belsito, secondo gli investigatori, aveva ingannato i soci nell’affare, compreso il promoter Paolo Scala, dicendo che i soldi dell’investimento erano i suoi e poi facendo arrivare non un milione e 200 mila euro come pattuito, ma una somma quattro volte maggiore. In una telefonata intercettata Belsito spiega al socio calabrese, Romolo Girardelli, già amico del defunto Maurizio Balocchi secondo il racconto di alcuni testimoni al vaglio degli inquirenti, quello che sta accadendo. Il calabrese chiede “Minchia e Castelli con Bossi è venuto? … e che c..o ti hanno detto? …” e Belsito risponde: “.. che questo qui.. che adesso c’è un casino in piedi.. che tutti sono con i fari puntati.. Tutto così …”.
Aggiornamento del 19 dicembre 2022
Il gip presso il Tribunale di Reggio Calabria ed il gip presso il Tribunale di Genova, a cui il procedimento era stato trasmesso dal Tribunale di Milano per ragioni di competenza territoriale, hanno disposto l’archiviazione di tutte le accuse originariamente formulate nei confronti di Bruno Mafrici e a cui fa riferimento il presente articolo.