A Bruxelles i ministri degli esteri della Ue hanno deciso un nuovo round di sanzioni internazionali, il quindicesimo da quando è iniziata la rivolta contro Assad. Con le nuove iniziative approvate diventano 128 le persone legate al regime colpite e quarantatrè le aziende
Una vera e propria battaglia si è combattuta a Rastan, Siria centrale. Secondo Al Arabiya, almeno 30 persone sono morte, tra cui 23 soldati dell’esercito governativo, presi dal fuoco dei ribelli armati del Free Syria Army, che sono riusciti a distruggere almeno tre veicoli blindati. Rastan, nella provincia di Homs, è diventata una delle roccheforti dei ribelli armati che sostengono di averne il pieno controllo. Secondo quanto scrive l’Osservatorio siriano per i diritti umani, con base a Londra, la città è stata sottoposta a un intenso bombardamento di artiglieria da parte dell’esercito regolare. Un bombardamento che ha causato decine di feriti, non solo tra i combattenti.
I combattimenti di oggi sono un altro duro colpo per il piano di pace mediato faticosamente da Kofi Annan, inviato speciale dell’Onu e della Lega araba, che avrebbe dovuto portare a un cessate il fuoco ormai un mese fa. L’unico elemento del piano finora realizzato è l’invio in Siria di una settantina di caschi blu, la cui presenza, però, non sembra aver avuto alcun impatto sulle politiche repressive del regime di Bashar Assad né sulle azioni armate dell’opposizione.
E mentre in Siria si combatte, sono ormai quattordici mesi, a Bruxelles i ministri degli esteri della Ue hanno deciso un nuovo round di sanzioni internazionali, il quindicesimo da quando è iniziata la rivolta contro Assad. Con le nuove sanzioni approvate oggi, diventano 128 le persone legate al regime colpite e quarantatré le aziende siriane. “Le sanzioni colpiscono il regime e non la popolazione civile – ha detto Catherine Ashton, capo della diplomazia di Bruxelles – La Ue continuerà a tenere il regime di Assad sotto pressione”.
A Bruxelles c’era anche il ministro degli esteri italiano Giulio Terzi che ieri ha incontrato a Roma Burhan Ghalioun, presidente del Consiglio nazionale siriano. Secondo Terzi, “è stato un incontro molto positivo perché è stato confermato il Patto per una nuova Siria approvato a Istanbul lo scorso marzo». Il Patto (Covenant) prevede una costituzione democratica per la Siria, libere elezioni e rispetto delle minoranze, rappresentate anche nella delegazione del Cns che ha accompagnato Ghalioun. Un segno tangibile di questa disponibilità a proteggere i diritti delle minoranze – fondamentale questione politica in un paese mosaico come la Siria – potrebbe essere la scelta di un rappresentante cristiano al posto di Ghalioun quando si tratterà di rinnovare le cariche nel Cns. Il ministro Terzi ha detto che Ghalioun ha confermato di essere pronto a cedere il posto a un altro esponente del Cns e il nome più gettonato è quello di George Sabra, cristiano, già membro del segretariato generale del Cns.
Mentre Terzi è volato a Bruxelles per incontrare i suoi omologhi dell’Ue, Ghalioun è rimasto a Roma anche oggi, per una serie di riunioni con i rappresentanti delle comunità siriane che vivono in Italia. Un paese che, secondo Ghalioun, ha un ruolo importante da svolgere per la soluzione della crisi in Siria, tanto che il Cns sta pensando di aprire anche a Roma un “ufficio di rappresentanza”, così come dovrebbe avvenire a breve in altre capitali europee. Tra le opposizioni siriane, però, emergono molte divergenze, nonostante il ruolo riconosciuto ormai al Cns. Divisioni che rischiano di far saltare la conferenza organizzata per il 16 e 17 maggio al Cairo per impulso della Lega Araba. Oltre ai dubbi del Cns, che non ha ancora confermato la propria partecipazione, anche un’altra organizzazione anti-regime, il Comitato di Coordinamento delle forze del cambiamento democratico – più legato all’opposizione interna – ha chiesto che la conferenza venga rinviata, in modo da consentire una preparazione adeguata a smussare le divisioni correnti tra le varie anime dell’opposizione anti-Assad.
Tra nuovi scontri, sanzioni e manovre diplomatiche, però, il conflitto siriano fa sentire il suo impatto anche su altri paesi della regione. In Libano ci sono stati scontri nella città di Tripoli, una settantina di chilometri a nord di Beirut. L’agenzia France Presse scrive che almeno tre persone sono rimaste uccise e una ventina ferite in una serie di sparatorie scoppiate tra gli abitanti del quartiere di Jabal Mohsen, principalmente alawita, e quelli di Bab el Tabbaneh, soprattutto sunniti. Gli abitanti di Bab el Tabbaneh avrebbero anche sparato contro i poliziotti libanesi, entrati nel quartiere per arrestare un presunto terrorista, la cui “colpa”, secondo al Arabiya, sarebbe invece quella di aiutare la resistenza siriana.
In Giordania, invece, alcune centinaia di profughi siriani hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di vita nei campi allestiti per loro dal governo di Amman e chiedere l’intervento dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati. In Giordania, secondo le ultime stime, sono circa 150 mila i profughi arrivati dalla Siria negli ultimi quattoridici mesi e nelle zone dove sono concentrati, attorno alle città di Ramtha e Mafraq, nel nord del paese, la situazione inizia a essere piuttosto difficile.
Joseph Zarlingo