Vincenzo Ghionni, consulente di una cinquantina di case editrici, accusato nel caso Lavitola, racconta le riunioni della commissione governativa incaricata di esaminare le richieste per centinaia di milioni. "Le carte spesso non sono nemmeno pronte". "Il Roma" di Bocchino finito nel mirino dei controlli solo dopo l'allontanamento di Fini da Berlusconi
Pronti, via. “Il sottosegretario ha fretta”. E in appena due-tre ore la commissione tecnica consultiva per l’editoria dava parere favorevole a circa 300 pratiche di contributi pubblici ai giornali per un totale di “170-180 milioni di euro”, senza leggere uno straccio di carta o di relazione preliminare. Lo rivela una voce di dentro. Una voce che conosce tutti i segreti e i meccanismi della distribuzione dei finanziamenti ai quotidiani di partito e cooperativi. E’ quella del commercialista napoletano Vincenzo Ghionni, uno dei massimi esperti italiani in materia, consulente di una cinquantina di società editoriali sparpagliate tra lo stivale. Per anni componente della commissione consultiva che schiacciava il bottone dei fondi in qualità di presidente dei piccoli editori, tra i clienti del suo studio con uffici in piazza dei Martiri c’era anche il direttore dell’Avanti Valter Lavitola.
“La mia socia mi diceva sempre: non mi piace, ci farà passare un guaio… e aveva ragione. E poi non pagava e non offriva nemmeno il caffé”. Il ‘guaio’ cui fa riferimento Ghionni è l’arresto subìto a metà aprile nell’ambito dell’inchiesta sui maneggi di Lavitola e sulla truffa relativa ai 22 milioni di euro ottenuti per il quotidiano erede del craxismo. I pm di Napoli Woodcock, Curcio e Piscitelli lo accusano di essere un socio di fatto del faccendiere salernitano – tuttora detenuto a Poggioreale – e di aver fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata a spillare al governo, attraverso il Die (Dipartimento per l’Editoria), fondi non dovuti.
Gli contestano in particolare una dichiarazione annotata nel resoconto della commissione consultiva, quando Ghionni manifestò “la propria preoccupazione nei confronti del ritardo che eventuali ulteriori accertamenti” nei confronti delle imprese editoriali che utilizzavano le vendite in blocco e lo strillonaggio (i ‘trucchi’ utilizzati da Lavitola per gonfiare i dati di diffusione dell’Avanti e di conseguenza ottenere contributi maggiori, ndr) “chiedendo di fare il tutto con la massima urgenza”. Nell’interesse di Lavitola, secondo la Procura.
Sentito in carcere il 18 aprile (verrà liberato pochi giorni dopo) Ghionni – assistito dall’avvocato Astolfo Di Amato – si difende e in 38 pagine di verbale spiega al Gip Dario Gallo la sua versione dei fatti. Partendo dall’illustrazione del funzionamento della commissione di cui fa parte, che ha il potere di dare disco verde o far sospendere l’erogazione dei fondi. “Dura in genere due o tre ore, al massimo quattro, perché il sottosegretario ha fretta. Tra le due e le quattro ore si decide su circa 300 domande di contributi per 170-180 milioni di euro. La prima riunione decide su 250 pratiche… e poi 50 vengono decise in altre tre o quattro, sono quelle approfondite”.
Decisioni così importanti su un fiume di denaro pubblico dovrebbero essere valutate e ponderate attentamente sulla base di documentazione chiara e studiata con attenzione. Invece no. “Possiamo accedere agli atti degli uffici (del Die, ndr) il giorno prima. Ma generalmente non si accede. E’ inutile, le carte spesso non sono nemmeno pronte, stanno sempre nella fretta, in due ore quindi si decide sulla base di un elenco degli uffici…”. Ghionni poi spiega il senso di quella frase sulla “preoccupazione per i controlli”. “Temevo controlli politici, e io ritenevo questa cosa pericolosa”.
E cita il caso di Il Roma, il quotidiano di Italo Bocchino, che fa parte del suo portafoglio clienti. “Per due anni non ha preso i contributi perché erano stati avviati dei controlli con grandissimo ritardo”. Mettendo a rischio la sopravvivenza del giornale del vice di Fini. Forse è solo una coincidenza, e lo stesso Ghionni non fa un collegamento esplicito a verbale, ma i controlli al Roma si intensificano proprio quando Fini e Bocchino si allontanano progressivamente da Berlusconi. Fino a rompere.