Cultura

Cosa mi piace del nuovo mondo discografico

Quello che mi piace del nuovo mondo, quello di iTunes, è la libertà più assoluta, e la possibilità di non avere a che fare con il sistema discografico. Per questo, un paio di mesi fa, Fluon ha fatto uscire il suo primo singolo, Naked anche senza avere completato un album.

Ho scritto dieci anni fa questo pezzo, che è stato arrangiato in ogni maniera, finché abbiamo raggiunto un equilibrio, quella sensazione molto bella che io non provavo dai tempi di una fase dei Bluvertigo, quando ti senti in una squadra di persone che si stanno divertendo davvero a proporre cose che facciano vivere il progetto comune. C’è quindi un’integrità, una “salute creativa” molto bella, come ogni salute.

Uscirà un brano ogni tanto, appena finiamo di mixarlo, distribuirlo, farci il video ecc. Sarà tutto un “work in progress” che si svolgerà proprio mentre ogni brano starà uscendo. Questo è secondo me anche un modo per uscire da quelle dinamiche vetuste del “ci chiudiamo in studio per fare l’LP”. Oggi è un’epoca in cui il percorso esistenziale che si esprime nell’uscita di un disco è una condizione che non riesco a vivere, perché è ormai troppo caotica anche la tua giornata. Mi piace quindi pensare che l’album, se o quando uscirà, possa essere composto di pezzi che sono piccoli progetti.

Mi piace molto di più lavorare a un brano alla volta. Inoltre, c’è da capire che le persone in genere se sono attratte da un brano o da un video non è detto che vogliano prendere tutto il disco. Magari vogliono comprare solo una o due tracce. Preferisco dunque applicarmi alla mentalità del mondo contemporaneo. Oggi del resto non siamo minimamente tutelati, e il sistema discografico è stato a sua volta fregato.

Ci sono invece delle persone che svolgono il loro progetto in maniera viva. Fabri Fibra, ad esempio, è un artista assolutamente contemporaneo, che nei suoi dischi mette proprio quello che è lui oggi. Jovanotti è un altro che riesce a farlo ancora benissimo: lui documenta le fasi della sua esistenza secondo i suoi progetti discografici. Ed è molto forte nel farlo, e ha il talento di sapersi confezionare a dovere.

Nel mio caso cerco di fare lo stesso. Una canzone la canto in inglese; per Enrico Ruggeri ho fatto la nuova versione di “Polvere”; ho fatto una cover di Lele Battista, che uscirà in italiano in una forma completamente diversa. In Cambogia ho scritto invece una canzone, fatta con l’iPad in spiaggia, che mi spingerà a provare ad andare a San Remo l’anno prossimo, come “nuova proposta” a quarant’anni e passa, piuttosto che da “big”. Ma proverò, perché è un pezzo sincero nato dalla mia fantastica esperienza cambogiana.

Oggi, insomma, valutando il “work in progress” in maniera vera, è tutta una cosa che sboccia, che fiorisce. E come posso relegarla in un cd, in un LP? Mi sembra proprio che ciò non avrebbe senso.