"E' il momento buono", ha detto a un cronista Alfredo Davanzo, imputato al processo d'appello bis contro la presunta formazione terroristica iniziato oggi a Milano. Il presunto ideologo e il coimputato Sisi rinunciano alla difesa dello "stato borghese". Proclami in aula: "Il nostro obiettivo è la propaganda armata". Applausi e slogan dal pubblico
“Viva la rivoluzione! Avanti la rivoluzione. Questo è il momento buono…”. Così Alfredo Davanzo, imputato a Milano nel processo d’appello bis sulle Nuove Brigate Rosse, ha risposto a un cronista che, durante una pausa, gli chiedeva un commento sulla gambizzazione di Roberto Adinolfi a Genova. Il presunto neobrigatista, condannato a 11 anni e 4 mesi di carcere in primo e secondo grado, rivolgendosi al cronista ha poi chiesto: “Lei è un giornalista borghese?” e, ottenuta una risposta affermativa, ha replicato: “Allora le conviene cambiare campo”. Poco dopo, nelle dichiarazioni spontanee, il coimputato Claudio Latino ha spiegato il ruolo del “partito comunista armato”, che è quello della “propaganda armata”, per “indicare gli obiettivi”. Dalla gabbia, gli imputati hanno salutato con il pugno chiuso, mentre tra il pubblico sono spuntate magliette bianche con la scritta “solidarietà” e, alla fine dell’udienza, applausi e cori “tutti liberi”.
Il processo d’appello bis è iniziato oggi per 12 imputati, dopo che la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d’appello. Davanzo è ritenuto il l’ideologo delle Nuove Br-Partito Comunista Politico-Militare. Davanzo e un altro imputato, Vincenzo Sisi, hanno rifiutato la difesa di un legale, perché espressione delle regole dello “stato borghese”. Una scelta che ricalca quella delle Brigate rosse “storiche” nei processi degli anni Settanta, tra i quali quello di Torino contro Renato Curcio e gli altri leader dell’organizzazione armata.
“Noi affrontiamo il problema in termini politici, a noi non riguarda la giustizia politica, il nostro solo sbocco è rivoluzionario”, ha spiegato Davanzo in una dichiarazione spontanea davanti ai giudici, in cui ha parlato di “attacco all’oligarchia finanziaria”, passaggio accompagnato da qualche “bravo” tra il pubblico. “Noi abbiamo il coraggio di affrontare lo stato mettendo in gioco la nostra vita, non come lo stato che ha messo bombe”, ha concluso con un altro riferimento storico alla strategia della tensione.
“Parlo come operaio comunista che ha deciso di prendere le armi contro l’oppressione della nostra classe”, ha affermato davanti ai giudici Vincenzo Sisi. “La nostra è una scelta obbligata e questo è il prezzo da pagare, oggi noi lavoratori siamo ridotti a stato di schiavitù”. Anche per colpa delle “ricette di Draghi e Monti“. In Italia, ha aggiunto, “l’unico fenomeno di terrosimo è quello fascista e quello stragista”. Da qui la scelta di non avvalersi di un legale: “Noi non dobbiamo difenderci da questo tribunale. Dunque rinunciamo alla difesa depositiamo agli atti un documento politico”.
Quando è arrivato il suo turno, Claudio Latino ha fatto riferimenti all’attualità, alla “gente costretta al suicidio”, alla “disperazione legata al fatto che hanno deciso di salvare le banche”, con un costo fatto “pagare ai lavoratori”. Come esempio di resistenza, Latino, cita “la rivolta delle masse arabe, ma anche movimenti americani con le occupazioni dei porti nella West Coast”. Ma dato che questi movimenti di opposizione non sono in grado di “rovesciare lo Stato”, qui entra in gioco il “partito comunista armato”. Che, ha proseguito Latino, deve “dare obiettivi. Per questo va organizzata l’offensiva che ha carattere di propaganda armata. Noi non abbiamo il gusto romantico della violenza, ma oggi è necessaria”.