I primari ospedalieri di oncologia del Cipomo (Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri) lanciano il progetto per una oncologia che miri a rispettare insieme il paziente e l'ambiente, riducendo gli interventi e le diagnosi in eccesso e limitando gli sprechi economici
Per risparmiare in sanità e in particolare in oncologia, non bisogna solo pensare a tagliare i costi dei farmaci. Gli sprechi e le inappropriatezze si celano anche in altri ambiti, come in alcuni tipi di interventi chirurgici e trattamenti radioterapici, o anche nell’eccesso di esami diagnostici. Basti pensare che ogni anno sono ben 40 milioni le Tac che si fanno in Italia. In altre parole è come se 2 cittadini su 3 le facessero. Le sacche di inappropriatezza su cui lavorare sono parecchie, soprattuto in un momento in cui tagliare è il mantra che si sente ripetere ogni giorno. La chiave per garantire la sostenibilità è far sì che l’oncologia del prossimo futuro sia ‘verde’, rispettosa dell’ambiente, del paziente e della società in cui si lavora, con una maggiore attenzione a curare meglio e sprecare meno. Ne sono convinti i primari ospedalieri di oncologia del Cipomo (Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri), che a Milano hanno lanciato il loro Manifesto per la green oncology.
“La sostenibilità non è solo economica – spiega Roberto Labianca, presidente Cipomo – Quando si parla di sprechi si pensa subito ai farmaci, ma un miglior uso delle risorse si può fare anche in chirurgia, radioterapia e nella diagnostica. Si fanno troppe Pet e Tac e tutto ciò ha anche un pesante impatto sui consumi energetici e la produzione di anidride carbonica”. Gli oncologi hanno dunque deciso di fare la loro parte per contribuire ad un miglior uso delle risorse disponibili, visti anche i tempi di crisi, con un occhio di riguardo all’ambiente. Quindi sì ad una razionalizzazione dell’uso dei farmaci tumorali, che comunque sono costosi (gli ultimi dati risalenti al 2008 hanno rilevato che dal 2004 al 2008 la spesa per i farmaci oncologici sostenuta dagli ospedali è quasi raddoppiata, passando da 1,2 milioni di euro a 2,2 milioni), ma anche ad un approccio più nuovo e complessivo. Da qui l’idea del Manifesto della Green Oncology, in cui si stabiliscono alcune modalità operative ‘verdi’. Come quella di adottare follow up ‘minimalisti’, cioè non troppo pesanti e con troppi esami, facendo un uso mirato di tecniche radiologiche e scintigrafiche per ridurre l’inquinamento ambientale da radiazioni.
Poi, privilegiare, quando possibile, l’uso delle terapie orali, con cui risulta inferiore anche l’utilizzo di mezzi di trasporto da parte dei pazienti, si riducono i consumi di energia e chi assiste e accompagna i malati perde meno ore di lavoro. Ancora, fare attenzione a forme di chemio-prevenzione con farmaci non tossici e a tutte le occasioni di accanimento terapeutico, ”che, oltre che un danno per il paziente, sono uno sperpero inutile e dannoso”. C’è anche spazio per la lotta agli scarti, con l’attenzione al ciclo di vita dei farmaci oncologici anche nella fase di somministrazione e smaltimento, e una sezione più classicamente ‘verde’, con la sperimentazione di nuove forme di aggiornamento a basso consumo energetico, l’impiego di detersivi non tossici e ambulatori verdi, dove si riciclano carta e materie post-consumo, “Appropriatezza significa dare al paziente le terapie che gli sono utili – conclude Labianca – ma curando anche la sostenibilità. Le cure oncologiche vanno differenziate, e non tutte le unità ospedaliere possono offrire le stesse cose. E’ sbagliata ad esempio la corsa indiscriminata ad acquistare l’ultimo robot o macchina supertecnologica solo come status symbol, per dire che la si ha. L’offerta va modulata secondo le esigenze del territorio”.