Contro l'ex comandante del Ros pesava la testimonianza di Agnese Piraino Leto, vedova del giudice. Ma dopo 24 mesi di indagine i pm di Caltanissetta non hanno trovato elementi per un processo. L'ufficiale in pensione resta indagato a Palermo per la "trattativa"
A due anni dall’iscrizione nel registro degli indagati la procura di Caltanissetta chiede l’archiviazione della posizione di Antonio Subranni. Il generale del Ros era indagato per concorso esterno a Cosa Nostra, ma dopo 24 mesi d’indagine i pm nisseni hanno chiesto l’archiviazione per decorrenza dei termini. I giudici al momento non hanno trovato elementi probatori tali da chiedere il rinvio a giudizio dell’ex capo del Reparto Operativo Speciale dei carabinieri.
La principale accusatrice di Subranni è Agnese Piraino Leto, la vedova di Paolo Borsellino, che aveva raccontato ai magistrati come “il 15 luglio 1992, verso sera, conversando con mio marito in balcone lo vidi sconvolto. Mi disse testualmente: ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni era punciutu. Tre giorni dopo, durante una passeggiata sul lungomare di Carini, mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere”.
Il termine punciutu, ovvero punto, equivale a dire che Subranni fosse formalmente affiliato a Cosa Nostra. Alessandra Camassa e Massimo Russo, magistrati ed ex allievi di Borsellino, incontrarono il giudice assassinato in via D’Amelio alla fine di giugno del 1992. “Si distese sul divanetto del suo ufficio – ha detto la Camassa – e mentre gli sgorgavano le lacrime dagli occhi, disse: ‘Non posso pensare che un amico mi abbia tradito’”. Russo ha aggiunto che “qualche giorno prima Borsellino era stato a Roma e aveva avuto un pranzo, forse una cena, con alti ufficiali dei carabinieri. Fu lo stesso Borsellino a parlarcene a un certo punto”.
Anche i magistrati nisseni si sono convinti che il traditore di Borsellino forse a quella cena. “E’ probabile che il traditore fosse tra le persone incontrate” scrivono infatti i pm di Caltanissetta nell’ordinanza di custodia cautelare che a marzo ha ridisegnato le dinamiche della strage di via d’Amelio. Appena ieri la gip Alessandra Giunta ha ammesso l’incidente probatorio per sentire quattro collaboratori di giustizia: Giovanni Brusca, Antonio Giuffrè, Tullio Cannella e Gaspare Spatuzza.
E se a Caltanissetta la posizione di Subranni va verso l’archiviazione, a Palermo invece rimane ancora tra gli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra Cosa Nostra e pezzi dello Stato. Secondo gli inquirenti palermitani, l’alto ufficiale del Ros sarebbe stato a conoscenza della natura degli incontri avuti dal generale Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno con don Vito Ciancimino nell’estate del 1992. Appena due mesi fa Subranni era stato sentito dai magistrati ma si era avvalso della facoltà di non rispondere.
Venerdì invece a Palermo è prevista la deposizione di Agnese Piraino Leto, che sarà sentita come teste nel processo che vede imputati Mori e Mauro Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995 a Mezzojuso.
Subranni è anche coinvolto nella nuova inchiesta sui depistaggi che si verificarono subito dopo l’omicidio di Peppino Impastato: fu lui a coordinare l’indagine che liquidò la morte del militante di Democrazia Proletaria come “un attentato finito male”, non tenendo completamente conto del ruolo di Cosa Nostra e di don Tano Badalamenti.
A raccontare nel dettaglio quale fosse il ruolo di Subranni negli ’80 e ’90 ci ha provato, poche settimane fa, il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, intervistato da Sandro Ruotolo per Servizio Pubblico. “Il generale Subranni non può essere punciutu – ha detto Di Carlo – Può essere mafioso, distinguendo Cosa Nostra dalle istituzioni che sono mafiose e sono vicine a Cosa Nostra. Perché se uno è finanziere, carabiniere, non può essere affiliato formalmente in Cosa Nostra. Il generale Subranni, l’ho visto più di una volta negli uffici dei cugini Salvo (potenti esattori mafiosi e grandi elettori della Dc, ndr). Nel caso di Impastato, si è mosso Nino Salvo che voleva aiutare Badalamenti. Salvo si è rivolto al generale Subranni per fare chiudere bene questa faccenda”.