Erano da poco passate le 9 del mattino quando nell’aula del Tribunale speciale Onu per i crimini nella ex Jugoslavia, a L’Aia, è entrato Ratko Mladic. L’ex capo militare dei serbi di Bosnia deve rispondere di undici capi d’accusa, compresi quelli di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Mladic, oggi 70enne, è stato arrestato poco meno di un anno fa, il 26 maggio 2011, in Serbia, dopo 16 anni di latitanza, ricercato non solo dalla polizia serba ma anche dall’Interpol.
Tra le sue “medaglie” ci sono alcune delle pagine più buie degli anni delle guerre dei Balcani, come l’assedio di Sarajevo e il massacro di Srebrenica, quando – sotto gli occhi dei caschi blu olandesi – le forze paramilitari serbe di Bosnia, nel luglio del 1995, uccisero 8 mila persone di fede islamica. Quel massacro, spesso dimenticato in Europa, è rimasto impresso nella memoria dei musulmani, non solo bosniaci, ma di tutto il mondo come esempio di come non ci si possa fidare dell’Occidente, anche quando dice di voler proteggere i seguaci dell’Islam.L’odio viscerale di Mladic contro croati e musulmani viene dalla sua storia familiare. Il padre venne ucciso nel 1945 dagli ustascia croati, i fiancheggiatori dell’occupazione nazista. E proprio in Croazia, dopo il 1991, Mladic ebbe il battesimo del fuoco, al comando del IX corpo d’armata dell’allora esercito Jugoslavo, inviato a Tenin per contrastare la secessione della Dalmazia.
Il 2 maggio 1992 le forze di Mladic – ancora formalmente parte dell’esercito jugoslavo – posero l’assedio a Sarajevo. Per i quattro anni successivi, la città, diventata nel frattempo capitale della Bosnia indipendente, venne bersagliata da cecchini e colpi di artiglieria, che uccisero migliaia di civili. Dieci giorni dopo l’inizio dell’assedio, il parlamento serbo-bosniaco istituì un suo esercito “nazionale” il cui comando venne dato a Mladic, ormai sganciato di fatto dal controllo di Belgrado, anche se manteneva forti rapporti con il regime di Slobodan Milosevic.
Nei tre anni successivi, assieme alle bande paramilitari di Arkan, le truppe di Mladic si resero responsabili di enormi massacri contro i musulmani di Bosnia e anche contro i serbi “collaborazionisti”, nonché della creazione di veri e propri campi di concentramento, oltre che di campagne di stupri etnici.
Mladic lasciò il comando dell’esercito dei serbi di Bosnia all’inizio del novembre del 1996. Già dal luglio dell’anno precedente, però, era nella lista dei ricercati del Tribunale speciale creato dall’Onu per giudicare i criminali di guerra della ex Jugoslavia. Ma siccome lo statuto del tribunale prevede che non si potessero tenere processi in contumacia, lui, come altri ricercati di tutte le parti coinvolte nel conflitto, ha preferito darsi alla latitanza, protetto da una vasta rete di simpatizzanti, sia legati al vecchio regime serbo, sia tra i compagni d’armi (era entrato nell’esercito jugoslavo nel 1961), sia annidati nelle pieghe della zona grigia tra apparati di sicurezza del regime, estrema destra nazionalista, paramilitari e criminali comuni.
La caccia a Mladic è stata una delle più rocambolesche cacce all’uomo della storia recente europea. L’ex capo militare veniva segnalato di volta in volta in Vojvodina, nel nord della Serbia, o in Montenegro, o a Salonicco, Mosca o ancora in Albania. La svolta nelle indagini avvenne nel febbraio del 2010, quando il procuratore serbo Vladimir Vukcevic riuscì a individuare una casa usata da Mladic dove i servizi segreti trovarono molto materiale utile. Sulla sua testa c’era una taglia di 10 milioni di dollari, quando, il 26 maggio del 2011, la polizia serba finalmente riuscì ad arrestarlo.
Dopo il suo fermo e l’avvio delle procedure di estradizione verso la corte dell’Aja, le organizzazioni dell’estrema destra serba provarono a mettere in piedi manifestazioni di protesta, a Belgrado e in altre città, a cui però parteciparono solo poche centinaia di persone. Era questo il segno più tangibile del fatto che – nonostante le scritte “Mladic eroe” che ancora compaiono in alcuni quartieri di Belgrado – i serbi avevano deciso di rompere con il passato sanguinoso rappresentato dal vecchio latitante.
Mladic non ha mai rinnegato le sue azioni e anzi anche oggi, alla prima udienza di un processo a lungo atteso, si è presentato in aula sorridente e con atteggiamento di sfida, senza tentennare durante la requisitoria del procuratore Dermot Groome, rappresentante dell’accusa che ha condensato gli orrori della “carriera” di Mladic in una presentazione multimediale: «Ha comandato la pulizia etnica della Bosnia – ha concluso Groome – Dietro ogni massacro c’è la mano di Mladic e lo dimostreremo nel corso di questo processo».
di Joseph Zarlingo