L'ex ministro dell'Interno: "I pm facciano presto". Il Trota si difende: "Mai preso un euro". Militanti tra voglia di pulizia e sospetti di complotti. Calderoli: "Ha dato intelligenza e risorse economiche al partito". Salvini: "E' un attacco bestiale". Ma Gentilini va all'attacco: "Serve una fucilazione elettorale per alto tradimento"
Nelle prime ore della mattinata Roberto Maroni, candidato unico alla successione di Umberto Bossi, aveva ribadito la propria voglia di cambiamento scrivendo sul suo profilo Facebook un messaggio rivolto a tutti i leghisti a lui più vicini: “Voglio una Lega unita, voglio una Lega forte, voglio una Lega viva – ha scritto – Una Lega che si concentra sulle cose da fare e non sulle menate interne, che progetta e governa, che dà risposte. Largo ai giovani e a chi è capace. Per faccendieri, ladri e ciarlatani non c’è posto nella Lega del futuro”.
Dopo poche ore da Milano è arrivata la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati, a vario titolo, di Umberto Bossi, dei figli Riccardo e Renzo oltre al senatore Piergiorgio Stiffoni per i fatti correlati alle ormai note vicende legate alla cattiva gestione dei rimborsi elettorali e dei fondi di partito.
Maroni ha poi precisato di aver scritto quelle frasi “prima che ci fossero gli avvisi di garanzia”. E sulle eventuali espulsioni chiarisce che sia Bossi sia il figlio si sono già dimessi: “Più di così… – ha proseguito – Nessun altro in nessun altro partito lo ha fatto pur essendo accusato di reati ben più gravi. E con le sue dimissioni da segretario è iniziata una fase nuova che vedrà il suo compimento più importante nel congresso federale del 30 giugno e primo luglio”.
Maroni: “I pm facciano presto”.In serata proprio l’ex ministro dell’Interno è tornato a parlare, ma ribadendo la fiducia all’ex segretario, definendo l’avviso di garanzia “un atto dovuto”. ”Confidiamo nell’azione della magistratura – osserva – purchè si svolga in tempi rapidi, accerti le responsabilità. Nel caso di Bossi, non parlo degli altri, mi pare di poter dire che ha una responsabilità che deriva da un atto formale, da una firma messa sotto un documento”. E nel caso del Senatur, l’ex ministro dell’Interno è ultracerto della sua buona fede. “Parlo per Bossi perche lo conosco da oltre trent’anni – ha concluso – Per gli altri accerterà la magistratura. D’altronde Maroni ha ricordato che Renzo Bossi si è già dimesso da consigliere regionale, Francesco Belsito è stato espulso e anche Stiffoni non fa più parte del partito. “I coinvolti – ha sottolineato – hanno già subito le conseguenze che nessun altro in nessun altro partito ha subito”.
Non parla di giustizia ad orologeria o complotti, ma chiede alla magistratura di chiudere le inchieste “rapidamente”. “Non ho mai pensato a complotti – ha detto a margine di un comizio a Senago – ho fiducia nella Procura di Milano e nel procuratore che conosco e stimo. Chiedo solo di fare in fretta per accertare eventuali responsabilità. Maroni ha chiesto alla magistratura di fare in fretta “perché si tratta – ha sottolineato – di un intervento molto duro, pesante, nei confronti di un partito e dei tanti militanti che si aspettano di sapere, di capire se qualcuno ha violato la legge oltre al codice etico della Lega”.
Bossi Jr: “Finalmente potrò difendermi”. Dalla “Family” il primo a parlare è stato il Trota: “Ho già detto che mi sento sereno – ha spiegato Renzo Bossi all’Ansa – e confido nella magistratura e soprattutto con questo atto giudiziario avrò finalmente la possibilità di difendermi e di mostrare a tutti la mia totale estraneità rispetto alle accuse che mi verranno mosse”. Interpellato telefonicamente Bossi ha detto di non voler commentare nei contenuti quanto gli verrebbe contestato nell’informazione di garanzia. si trova in vacanza in Marocco e ha spiegato di non aver “visto niente, perchè personalmente non mi hanno notificato nulla”. Quindi nemmeno una parola sull’ipotesi di aver ricevuto una ‘paghettà costante: “Ho sempre detto di non aver preso nemmeno un euro”.
Zaia: “Chi ha sbagliato paghi”. Le reazioni dall’interno del Carroccio non si sono fatte attendere. Qualcuno, come il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, sottolinea come alla fine del percorso giudiziario “chi ha sbagliato dovrà pagare”, puntualizzando nel contempo che “sembra di capire che questi eventi rappresentino l’epilogo di tutto quello che si è letto in tutte queste settimane”, ribadendo di avere fiducia nella magistratura “l’unica titolata a celebrare i processi e quindi a verificare ed accertare la verità all’interno delle uniche sedi deputate, ovvero i tribunali”. Per rimanere in Veneto il sindaco di Verona Flavio Tosi rende l’onore delle armi a Bossi: “Sull’informazione di garanzia, per quelli che sono stati i rapporti tra Umberto Bossi e il sottoscritto, sarebbe fin troppo facile criticarlo per quanto è accaduto; ma proprio perchè conosco Bossi, il suo stile di vita e il suo modo di essere, sono propenso a ritenere che lui abbia firmato in assoluta buona fede i documenti che gli sono stati sottoposti da Belsito”.
Salvini: “Attacco bestiale”. Da via Bellerio, dove nelle scorse ore è arrivato anche Bossi (qui ha ricevuto la notizia dell’avviso di garanzia), a parlare è Matteo Salvini: “Chiunque conosca Bossi ne conosce lo stile di vita. Tutto ha fatto fuorché arricchirsi, chi dice il contrario mente” e poi ha aggiunto: “Anche i sassi hanno capito che contro la Lega è in corso un attacco bestiale. Qualcuno vuole coprire le porcherie del governo Monti attaccando la Lega. Qualcuno ha sbagliato, figli di Bossi compresi, e si è dimesso. Abbiamo rinunciato ai rimborsi elettorali di luglio. Adesso basta, c’è qualcuno che sta esagerando. Il paese va a fondo e c’è gente che vive con l’incubo della Lega”. ”Che si faccia chiarezza in casa di tutti i partiti – ha concluso – perchè se vale per Bossi il principio del ‘non poteva non sapere’, attendiamo perquisizioni in casa di Bersani, di Berlusconi, di Di Pietro, di Vendola e di Fini”.
Calderoli: “Provo affetto per lui”. L’indagine su Bossi è un atto dovuto anche secondo Roberto Calderoli. “Ho visto dare da Bossi alla Lega tutta la sua intelligenza – dichiara – tutto il suo genio politico, tutte quelle che erano le sue risorse, anche economiche, tutte le sue energie, al punto di essere arrivato ad un passo dalla morte, e nulla potrà modificare la stima e l’affetto che provo per lui”.
Formigoni: “Non sono sorpreso”. La notizia non ha sorpreso il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni: “Sono notizie che ci dispiacciono. La notizia era nell’aria e non ci ha sorpreso”. Secondo Formigoni “la magistratura fa il suo lavoro ma nessuno prevenga i tempi e i giudizi che gli spettano”. Alla domanda se le indagini nei confronti di Renzo Bossi possano provocare un danno di immagine alla Regione Lombardia ha risposto che “Renzo non è più consigliere regionale”.
I militanti sul web. Appena si è diffusa la notizia sulla pagina Facebook di Roberto Maroni è iniziato il balletto dei commenti. Le opinioni si dividono tra chi punta il dito contro la giustizia ad orologeria, alludendo alla tempistica sospetta degli avvisi di garanzia, arrivati a quattro giorni dai ballottaggi e chi, invece, invoca il cambiamento: “Nuove indagini in casa nostra – scrive Marco della Lega di Bondeno – per fortuna che ora abbiamo un futuro segretario federale Maroni, che nonostante debba ereditare queste problematiche prodotte dalla Lega 1.0, saprà affrontare la situazione”. E, ancora, Anna dice: “Che tristezza. È la fine di un’epoca che ho vissuto dal 1990, passando dalla mitica giornata sul Po che resta a tutt’oggi la più bella giornata vissuta dal punto di vista politico (almeno per me)”.
Sul fronte dei maliziosi Stefano nota con sarcasmo: “Mi pare giusto che l’avviso arrivi a tre giorni dai ballottaggi”, gli fa eco Cristian: “Che bello, è l’indagine più centellinata della storia. Ma davvero i cittadini sono così cretini da pensare che questa cosa non sia fatta apposta?” e, ancora, Stefano che incalza: “Nei grossi Comuni, tipo quelli dei ballottaggi, il voto è anche politico. Cambia che per due giorni adesso martellano con sta notizia e gli indecisi, gli incerti, i delusi che avrebbero votato Lega o stanno a casa o non ci votano. Non per niente siamo crollati nei sondaggi (e nella realtà) giorno per giorno ogni volta ci attaccavano sui tg”.
E quando dalla rete ci si sposta nel mondo reale le opinioni non cambiano. Molti si trincerano dietro il silenzio, preferendo evitare qualsiasi commento. Nel cuore della padania leghista, in provincia di Varese, terra della family bossiana, i colonnelli maroniani parlano di cambiamento già in corso: “Indipendentemente dall’avviso di garanzia non cambia il processo di rinnovamento della Lega. Lo avevamo già cominciato prima di oggi”. A parlare è Matteo Bianchi, sindaco di Morazzone e maroniano della prima ora: “Certo – continua -, le tempistiche sono evidentemente faziose, a quattro giorni dai ballottaggi”. Il sindaco uscente di Tradate (città in cui la Lega è impegnata nei ballottaggi) Stefano Candiani sottolinea come “l’accanimento non sposta e non cambia nulla rispetto al giudizio sulle persone”, rincarando la dose sulla tempistica della magistratura: “Colpisce invece che l’avviso arrivi a quattro giorni da un appuntamento elettorale. Dà fastidio la sincronia con la settimana elettorale. Se aspettavano anche 5 giorni non cambiava poi un gran che ai fini della giustizia”.
Gentili: “Fucilazione elettorale”. Scatenato l’ex sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini. Una ”fucilazione elettorale alla schiena per alto tradimento, come succedeva nei tribunali militari” auspica nei confronti degli esponenti della Lega raggiunti da avvisi di garanzia per truffa ai danni dello Stato. “Questa indagine della magistratura – afferma Gentilini – è un segnale che la Lega bossiana è giunta al capolinea. L’altra Lega sarà quella di Maroni, Tosi, Gentilini e Zaia, che devono nuovamente essere credibili nei confronti di tutti quelli che hanno votato il partito e sono rimasti schifati dal comportamento della moglie di Bossi, del Trota, di Rosi Mauro, di Belsito e Giorgio Stiffoni. Sarà una Lega onesta, pura, dura, rispettosa delle leggi e senza tanti spettacoli tipo Venezia, le ampolle e tutto quel contorno”.
Per Gentilini “forse Bossi è il meno colpevole perchè data la sua malattia non era in grado di controllare tutto e tutti: anche il naufragio del governo Berlusconi-Bossi dipende purtroppo dalla malattia di Bossi, che non è stato in grado di essere quell’animale politico che faceva pressione vitale sui suoi compagni di viaggio”. “Bisogna avere il coraggio – conclude – di mandare a casa tutti quelli che per tanti anni hanno messo le mani nel vaso della marmellata e si sono leccati il dito. Bisogna adoperare il bisturi senza guardare in faccia nessuno: meglio è che non si facciano più vedere nè nei congressi nè nei comizi in piazza, questo vale anche per Bossi”.
Borghezio: “Lombroso avrebbe incastrato Belsito”. Un altro pasdaran, Mario Borghezio, dice la sua: “Chi tocca Bossi finisce male” dice. E aggiunge: “Questa inchiesta giudiziaria su Bossi, per noi patrioti padani indipendentisti, non rappresenta altro se non un’ennesima medaglia sul petto di Bossi. Questo Stato centralista e coloniale non si illuda di fermare con mezzi mafiosi la lotta di libertà intrapresa dal risvegliatore del nostro popolo, che noi seguiremo sempre e comunque”. Ma quando gli viene chiesto di entrare nel merito dei fatti dell’inchiesta su Bossi l’eurodeputato leghista all’Ansa parla di “incomprensibile distrazione” e della “malattia” che ha “permesso l’ascesa di Belsito”, l’amministratore “passato dal ruolo di autista a quello di tesoriere” quando “il mio concittadino Cesare Lombroso avrebbe individuato subito il soggetto”.
Aggredito un cameraman. Nervosismo e tensione si toccano tuttavia con mano, è il caso di dire. Il cameraman di Piazzapulita, il programma di approfondimento de La7, è stato infatti aggredito da un deputato della Lega, Sebastiano Fogliato: “Stavo chiedendo al deputato della Lega, Fogliato, un commento sul fatto che Bossi fosse indagato – racconta il giornalista Gaetano Pecoraro – Mi ha risposto che non sono affari nostri. Poi ha spintonato il cameraman, si è scagliato sulla telecamera, ha staccato e rotto il microfono e lanciato in terra il paraluce, rompendolo. Eravamo davanti all’entrata di Montecitorio”.