Tira aria di burrasca tra i veterinari italiani. E volano espressioni assai poco british dentro e fuori le associazioni di categoria che risultano federate nell’Associazione nazionale medici veterinari italiani o ANMVI. La colpa è senz’altro di quest’ultima, anzi, dei vertici di quest’ultima, che in un bizzarro appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, datato 7 maggio, gli hanno chiesto di farsi garante della necessità di non derogare neanche per ipotesi e neanche per un momento dalla sperimentazione sugli animali (o vivisezione) al fine di tutelare la salute umana. Non s’era mai visto. E per giunta su un argomento così centrale e delicato. Così, nel giro di pochi giorni, l’indignazione dei medici di base e di alcune delle loro rappresentanze più qualificate ha assunto le proporzioni di uno tsunami che investe sia il forum dell’ANMVI sia il circuito online delle associazioni animaliste.
“Sono un veterinario e, come molti altri della mia categoria, mi dissocio completamente da ciò che ANMVI ha pubblicato. Posso garantire che è in atto una sorta di sommossa popolare da parte nostra. Non abbiamo idea di cosa sia successo né del motivo per cui abbiano preso questa posizione. Siamo sconcertati…” ha scritto Cristina Crespi sulla pagina Facebook della Leal, lega antivivisezionista (La Leal contro la direttiva sulla vivisezione). E Liliana Luciani, anch’essa veterinario: “Nel mondo veterinario si sta scatenando una vera bufera a causa delle affermazioni dell’ANMVI non autorizzate dai suoi iscritti! Moltissimi colleghi stanno chiedendo a gran voce una smentita da parte dell’associazione”. E Piero Brovazzo: ANMVI non rappresenta i medici veterinari, di certo non rappresenta me!”.
Per scoprire perché i vertici dell’ANMVI sono usciti allo scoperto in modo tanto imprudente non bisogna cercare lontano. Basta sapere che proprio in questi giorni la 14^ Commissione del Senato (Politiche dell’Unione europea) deve discutere i criteri di recepimento della Direttiva sulla vivisezione approvata a Strasburgo nel 2010. Su questi criteri, raccolti nell’articolo 14 o emendamento Brambilla, si è molto discusso perché contengono una clausola che potrebbe portare alla chiusura dell’allevamento di Beagle da laboratorio di Montichiari (BS), di proprietà della multinazionale americana Marshall.
E tuttavia, tolto l’affaire Green Hill-Montichiari, il vento che soffia sul recepimento della Direttiva 2010/63/UE non ha davvero niente di rivoluzionario, anzi. Se fosse approvato dalla Commissione del Senato e poi in Aula, l’articolo 14 non impedirà che uno stesso animale venga riutilizzato più volte anche in procedure che gli causano intenso dolore, angoscia e sofferenza; non vieterà che si possa sperimentare sui primati nella ricerca di base (quella che non è finalizzata alla ricerca di cure e medicine) e per semplici “affezioni umane debilitanti” (da notare che anche un banale raffreddore, anche un’influenza possono essere considerate affezioni “debilitanti”); non proibirà la sperimentazione su cani e gatti randagi né che i centri di ricerca possano sperimentare in un quadro di “procedure amministrative semplificate” anziché in un regime di autorizzazioni ufficiali.
Infine, come se non bastasse, c’è il famigerato articolo 2, che impedisce agli Stati membri dell’UE di dotarsi di misure più protettive nei confronti degli animali di quanto prescrive la Direttiva stessa. Detto in breve, significa che qualsiasi tentativo di rendere un po’ meno scandalosa la legge sulla vivisezione che stiamo per recepire è già morto sul nascere. La legge a questo proposito è chiarissima: niente può mettere in discussione il principio ispiratore della nuova Direttiva, che è quello di azzerare tutti gli ostacoli frapposti alla libera concorrenza. Se a qualcuno venisse in mente di approvare una norma che punti a un futuro senza vivisezione (per esempio rendendo obbligatori i metodi sostitutivi), se qualcuno osasse “proteggere” i propri animali da laboratorio una briciola in più degli altri Paesi, la Commissione Europea è lì apposta per bacchettare, bocciare, annullare. E allora, di che cosa ha paura la dirigenza dell’ANMVI?
Oscar Grazioli, veterinario consigliere di Assovet, l’associazione dei veterinari titolari di una struttura privata, ha raccontato qualche tempo fa che cosa ha visto dentro gli stabulari che ha potuto visitare. Scene tremende, scene da “far vomitare”, che gli “addetti ai lavori” hanno sempre tenuto occultate e che così vorrebbero continuare a fare. Invano. Nell’appello a Napolitano, nelle accuse rivolte agli animalisti e ai loro eccessi, veri o presunti tali, si legge chiarissimo ancorché sottotraccia il timore che il dibattito sul valore scientifico e sull’accettabilità della vivisezione esca dal seminato (il loro) e si allarghi alla società civile. In effetti, proprio questo sta succedendo. Lo sanno, lo sentono, e scrivono al Presidente in cerca di aiuto.