Due treni corrono l’uno contro l’altro a tutta velocità. La Grecia non può fermarsi: non c’è nessun pilota a bordo. Il sistema finanziario Europeo ha dei macchinisti che esitano a tirare il freno, per motivi “religiosi”. Quando lo faranno, potrebbe essere tardi.
La BCE si limita a difendere il sistema bancario; ma nonostante spenda somme enormi, non ci riesce. La crisi bancaria dell’Eurozona nasce dal rifiuto della banca centrale di garantire i debiti sovrani, e più in generale di accettare il ruolo di prestatore di ultima istanza. Le difficoltà finanziarie degli Stati, infatti, tolgono credibilità alla garanzia sui depositi (in fuga); e riducono il valore dei titoli nel portafoglio delle banche. è anche per questo che storicamente la garanzia del prestatore di ultima istanza ha sempre coperto in primis i titoli pubblici.
C’è poi un altro canale di destabilizzazione delle banche. La BCE non considera la depressione della domanda aggregata un (suo) problema: non vuole fare il prestatore di ultima istanza dell’economia. Ma il panico dei consumatori (=> eccesso di risparmi => crollo di ordinativi, fatturati, e ricavi delle imprese) manda in sofferenza gli impieghi bancari.
L’abdicazione della BCE dalle sue primarie responsabilità nasce dall’adesione alla dottrina della “disciplina del mercato”. Che, al solito, non funziona. Non ha fermato in Grecia il moral hazard; non ha impedito altrove ai macro shock di gonfiare i debiti pubblici; o di trascinare nella crisi Stati poco indebitati; ora impedisce ai debiti pubblici di scendere (<= spread). Questa dottrina riporta l’Europa all’instabilità del sec. XIX, rinnega 150 anni di Storia del Central Banking e di civiltà monetaria, e rappresenta una rottura radicale con il resto del mondo. L’alternativa? I tre pilastri …! Quanto al moral hazard, non si risolve con la finanza impazzita, ma con la regolamentazione, la trasparenza, e la vigilanza sui conti pubblici; come si fa con le banche.
Il problema europeo è giuridico o culturale? I Trattati Europei – in partic. art. 123-126 e clausola di no bail out – legano davvero le mani alla BCE? Non proprio. Le singole norme vanno interpretate nel quadro giuridico europeo. Avendo poco spazio, basti dire che (a) l’ufficio legale della BCE si è espresso nel senso dell’indeterminatezza dei Trattati: perciò tutto dipende dall’interpretazione e dalle scelte politiche; (b) la BCE è già intervenuta a sostegno del debito pubblico dei paesi in crisi; (c) i governi Europei si sono già fatti carico del debito pubblico di diversi paesi in crisi. Ma se il problema fossero i Trattati, la BCE potrebbe chiederne la modifica: invece se ne guarda bene. L’ortodossia nasconde con le regole la sua regressione culturale.
Nel maggio 2011 scrissi che se la BCE voleva provocare una crisi finanziaria non poteva fare meglio. Oggi, i tassi a breve fra i più alti del mondo sviluppato – mentre il PIL è fermo; l’inflazione a ben vedere è da anni sotto l’1%; le aspettative d’inflazione a 5 anni sono ben sotto il 2% – illustrano il problema dell’Eurozona. Una teoria sostiene che i banchieri centrali debbano essere conservatori perché più credibili. Ma altrove l’indipendenza della banca centrale (sano antidoto al peronismo) trova un limite naturale nel Parlamento. You know check and balances? La mera latente minaccia di cambiare il governatore o ridurne l’indipendenza ope legem obbliga i banchieri centrali a tenere un minimo in conto le preferenze della gente. Nell’Eurozona invece la BCE non risponde a nessuno, e detta l’agenda ai Parlamenti.
La Moneta si circonda di un’aura di sacralità. I suoi sacerdoti minacciano apocalissi, lanciano scomuniche, conoscono i misteri … la Moneta e la sua Chiesa non si discutono! Da qui tutto il girare in tondo dei governi, fra Fondi Salva Stati e altre futilità. Lo stesso accadeva negli anni “30: perciò Roosevelt dovette obbligare la FED a risolvere la crisi. Il problema è semmai fino a quando spingere sull’acceleratore. Nel “37 ad es. Roosevelt pensò di aver fatto abbastanza, e si sbagliò di grosso; anche Obama nel 2009 sbagliò per difetto.
Cosa spiega la regressione culturale delle destre e la crisi di governance dell’Euro? Una risposta (v anche: Gallino) è l’odio verso tutto ciò che è pubblico (è tutto marcio, per definizione); e verso il New Deal, che dell’intervento pubblico rappresentò il momento più alto. Un’altra spiegazione è l’assenza di pietas, dell’angoscia che Roosevelt provava per i disoccupati, di coraggio nello sperimentare, di buon senso. Per i nostri liberisti, le recessioni sono danni collaterali di un Grand Plan per cambiare e moralizzare il mondo. Tipico dei radicali, estremisti e rivoluzionari di ogni tempo. E poi dicono Beppe Grillo…
Nel 1933 Roosevelt risolse la crisi finanziaria in dieci giorni; in novanta rilanciò l’economia. Anche oggi, è possibile. A condizione di capire la natura della crisi. Che non ha nulla di “strutturale”: le strutture produttive sono ancora in piedi. Questa è una crisi squisitamente monetaria; dove le aspettative sono cruciali. (A proposito: i liberisti sostengono che le aspettative sono razionali. Ammettiamo. Il panico che dilaga in Europa dimostra dunque che le politiche strutturali e di austerità, in questa situazione, sono irrazionali). Ne usciremo solo con la modifica (o piena applicazione) dei Trattati e dello Statuto della BCE, o la rottura dell’Euro. Ho insegnato Teoria e Politica Monetaria per anni, non credo di aver bisogno che mi si rammentino i rischi dell’eccesso di moneta. Ma persino gli antichi romani conoscevano l’importanza del prestatore di ultima istanza.