Ero in coda al supermercato, e questa volta (con buona pace dei miei detrattori) non ho guardato se nel carrello davanti a me c’erano dei frutti fuori stagione. No, questa volta non mi sono fatto gli affari altrui. Ho invece buttato l’occhio sui prezzi dei piccoli dolciumi che astutamente i gestori piazzano vicino alla cassa, auspicando il loro acquisto da parte della gente che attende in coda. Per chi non lo sapesse, ma certamente saranno in pochi, esiste una tecnica sofisticatissima per indurre la gente ad acquistare, e cosa c’è di più inutile, di più futile, di più appetibile solo al termine della spesa delle chewing-gum o delle caramelle?
Come dicevo, ero lì in coda e ho gettato appunto l’occhio sui prezzi non tanto delle confezioni dei dolciumi, quanto sui prezzi al chilogrammo, che sono scritti con caratteri davvero minuscoli. Sicuramente alti, in generale, ma davanti a un prezzo in particolare sono trasecolato e l’ho letto e riletto perché non riuscivo a capacitarmi: 200 euro al chilo. Per cosa? Una confezione minuscola di mentine. Cosa ci può essere nel prodotto in sé per “giustificare” un costo così elevato? Un po’ di zucchero (che magari non è neppure zucchero, ma qualche succedaneo chimico), un po’ di menta piperita (vi assicuro che la menta è una pianta infestante: provate a piantarla in giardino), e qualche altra diavoleria.
Duecento euro al chilogrammo. Non costano tanto neppure, nel reparto pescheria, animali in drastica riduzione, se non addirittura a rischio in tutto il mondo: il pesce spada, il tonno pinne gialle, la cernia. Eppure, non ci dovrebbe essere prezzo per animali a rischio. Invece no, li trovi tranquillamente esposti per la gioia dei buongustai a trenta, quaranta euro al chilo. Gli stessi buongustai che probabilmente senza neppure rendersene conto poi acquistano per il fine pasto o per il dopo sigaretta le mentine che invece sono ripetibili all’infinito e che costano 200, diconsi duecento, euro al chilogrammo.
Anche questo mi pare la dica lunga sulla follia del mondo in cui viviamo.