La Bce e la Commissione europea stanno lavorando ad un piano di emergenza per gestire in modo ordinato l’uscita della Grecia dall’euro, un’eventualità impensabile fino a qualche tempo fa ma oggi sempre più concreta. Lo ha affermato Karel De Gucht, commissario belga al commercio Ue, in un’intervista al quotidiano De Standaard. De Gucht è il primo dirigente dell’Unione ad ammettere apertamente l’esistenza di un simile piano. “Sono sicuro del fatto che non ci sarà un effetto contagio: l’uscita della Grecia non implica la fine dell’euro – ha spiegato -. Un anno e mezzo fa ci sarebbe stato il rischio di un effetto domino, ma adesso la Commissione e la Bce sono al lavoro sui possibili scenari di emergenza nel caso la Grecia non ce la faccia”. Un ragionamento che sembra costruito nel pieno rispetto della linea tedesca, al tempo stesso rigorista e anti-allarmista.
Intanto gli esperti del governo tedesco si starebbero preparando all’uscita della Grecia dalla moneta unica in “riunioni segrete”. Lo riporta oggi in esclusiva il quotidiano economico tedesco Handelsblatt, che minimizza: secondo fonti governative il ritorno alla dracma sarebbe “costoso” ma tutto sommato “gestibile”. Nei palazzi del governo di Berlino l’uscita della Grecia sarebbe paragonata a un salto nel vuoto dall’alto di un palazzo. “Due anni fa il salto sarebbe stato dal decimo piano e avrebbe portato alla morte dell’euro. Un anno fa dal quinto piano. Oggi è come buttarsi dal secondo piano – forse ci si rompe qualche osso, ma l’impatto non sarà irreversibile”. Questi i commenti riportati da Handelsblatt di non meglio definite fonti governative. A sentire le indiscrezioni che trapelano dalla cancelleria e dai ministeri finanziari, il governo di Angela Merkel starebbe preparando un piano B per la Grecia con il ritorno alla dracma. “L’Eurozona sarebbe in grado di sopportare un’uscita della Grecia”, ha dichiarato il capogruppo dei liberali (Fdp) nel Bundestag Rainer Brüderle. “Certo, sarebbe molto costoso, ma si potrebbe gestire”.
Secondo il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, lo stesso che pochi giorni fa dichiarato che l’uscita della Grecia non sarebbe una tragedia, ha calcolato il costo della fine dell’euro in Grecia in 80 miliardi di euro per i cittadini tedeschi, nei quali sono compresi i 32 miliardi di euro di crediti a cui la Germania dovrebbe rinunciare e i contributi aggiuntivi per il consolidamento del fondo di salvataggio ESM da 700 miliardi di euro. Ma non si parla solo di costi. Gli esperti del governo starebbero pensando anche a scenari che prevedono il controllo della circolazione dei capitali in uscita dalla Grecia, visto che “i greci hanno già iniziato a prelevare disponibilità monetarie dai loro conti per trasferirle all’estero”. E per impedire una crisi di liquidità delle banche il governo greco dovrebbe introdurre “severi controlli alle frontiere”.
Oggi la stessa Merkel ha chiamato il presidente della Repubblica greco Karolos Papoulias. Una conversazione che la Merkel ha voluto per informarsi sulla difficile situazione del Paese. La cancelliera, ha spiegato un suo portavoce, ha chiarito nuovamente che la Germania e gli altri partner europei si aspettano che dopo le prossime elezioni del 17 giugno venga al più presto formato un nuovo governo in grado di agire.
Lo stesso ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle è parso meno conciliante in un altro colloquio telefonico questa volta con il suo omologo del governo di transizione greco. “Siamo con la Grecia – ha detto oggi un portavoce del ministro – ma è importante che Atene faccia i compiti”. Westerwelle ha sottolineato nel suo colloquio che non ci saranno nuove trattative con i greci sulle riforme concordate con la troika di Ue, Bce e Fmi, nè sui programmi di aiuto. “La Grecia si deve attenere ai programmi”.
In realtà l’uscita della Grecia dall’euro potrebbe essere molto più pericolosa di quanto si stia mormorando in queste ore nelle stanze del Bundesregierung. “La dimostrazione che l’euro è, di fatto, reversibile potrebbe portare a un attacco senza precedenti alle banche spagnole e italiane”, spiega oggi sul New York Times il premio nobel per l’economia Paul Krugman. “Ancora una volta la Banca Centrale Europea dovrebbe scegliere se fornire o meno un appoggio illimitato con un finanziamento senza limiti. Se la risposta dovesse essere ancora negativa per l’euro sarebbe la fine”. Krugman richiama anche la possibilità – da parte della BCE – di accettare tassi di inflazione del 3-4% in Europa per permettere a paesi come l’Italia e la Spagna di uscire dalla depressione economica provocata dai piani di austerity. “Ma sia i banchieri centrali sia i tedeschi odiano questa idea”, continua Krugman, “anche se è il solo modo plausibile per salvare l’euro, perché il tempo è ormai scaduto”.