Il principale difetto della riforma Brunetta era il rilievo assoluto dato alla valutazione individuale, con fasce di valutazione definite per legge e deresponsabilizzazione della dirigenza. Il ministro Patroni Griffi rinnega quella proposta, ma sembra voler distanziare quanto più possibile il pubblico impiego dalla nuova normativa del settore privato, per esempio nella disciplina dei licenziamenti. Un impiego pubblico più efficiente deve invece basarsi su un sistema premiale, con obiettivi chiari e misurabili, nel quale ciascuno si assume le proprie responsabilità. A partire dal ministro.

di Tito Boeri e Pietro Garibaldi, lavoce.info, 15 maggio 2012

Mentre la Commissione lavoro del Senato sta disfacendo e rifacendo la riforma Fornero, rimediando a diverse storture e contraddizioni del disegno di legge presentato dal governo, il ministro della Funzione pubblica cerca di distanziare il più possibile il pubblico impiego dalla nuova normativa del settore privato. E rinnega la proposta di riforma Brunetta, alla cui stesura, tra l’altro, aveva partecipato direttamente. Al contrario di altri commentatori non siamo affatto nostalgici della riforma Brunetta e riteniamo che il sistema più efficiente per il pubblico impiego debba basarsi su misure premiali che guardino contemporaneamente ai singoli e alle amministrazioni, mentre la proposta di Filippo Patroni Griffi pare ignorare gli incentivi individuali. Ma ci piace ancora meno la strada intrapresa dal titolare di corso Vittorio Emanuele soprattutto per quanto riguarda la disciplina dei licenziamenti. Tuttavia, riteniamo che il tentativo di “deligiferare” proposto da Patroni Griffi sia da incoraggiare.

Perché è giusto abbandonare l’impostazione della proposta Brunetta
Nella proposta Brunetta la valutazione individuale ha un ruolo di assoluto primo piano e le fasce di valutazione definite per legge irrigidiscono i sistemi, deresponsabilizzando la dirigenza. Questo è il problema più grande perché i dirigenti sono gli unici che davvero “osservano” la performance dei singoli lavoratori. I dirigenti hanno tutte le possibilità per capire chi – nei loro uffici – davvero lavora e chi invece tende a fingere di farlo.

Il punto più debole della riforma è proprio nella deresponsabilizzazione di politici e dirigenti pubblici, trasformati in esecutori di decisioni prese da presunte autorità indipendenti o tribunali.

Come datori di lavoro, il governo e il ministro della Funzione pubblica devono, invece, prendersi le loro responsabilità. Determinino loro, sulla carta rappresentanti di interessi generali, gli obiettivi delle amministrazioni e ne rispondano davanti agli elettori. Non deleghino ad altri (soprattutto a chi deve essere valutato) queste decisioni.

Per le amministrazioni che sono in rapporto diretto con i cittadini è possibile definire obiettivi misurabili su grandezze che sono sotto il controllo della Pa. Ad esempio, possono essere stabiliti in termini di presenza sul territorio della pubblica sicurezza. In altri casi, l’impegno profuso dalle singole amministrazioni è meno visibile ai cittadini. Ma non per questo non si possono definire indicatori (ad esempio l’Agenzia delle entrate di Trento utilizza il numero di controlli operati, pesati in base allo sforzo richiesto per queste operazioni) e rendere di pubblico dominio i risultati raggiunti dalle singole amministrazioni.

La responsabilità degli amministratori e i premi  a cascata
Se si riesce a misurare in qualche modo la produzione di ciascuna amministrazione (non è invece necessario misurare l’output del singolo dipendente), si può poi generare un meccanismo di incentivi piramidali. Al livello più elevato della piramide, saranno le singole amministrazioni, e non i singoli lavoratori, a essere premiate nel caso di raggiungimento degli obiettivi. Se l’amministrazione non raggiungerà i propri obiettivi, non dovrà essere concesso alcun premio ad alcun membro di quella amministrazione.

Se non si accetta il principio che al livello più elevato della piramide vanno premiate le amministrazioni, si rischia, come nella riforma Brunetta, di attribuire i premi anche alle amministrazioni inefficienti. Facciamo l’esempio di due anagrafi con standard qualitativi molto diversi. Nel caso della riforma Brunetta, le due amministrazioni avrebbero la stessa quota di dipendenti premiati e anche lo stesso ammontare di premio. Nel nostro caso si premierebbe invece solo l’amministrazione efficiente,

Se i premi sono definiti a livello di singola amministrazione, potranno anche essere non monetari. Spesso i premi che stimolano di più il gioco di squadra all’interno dell’amministrazione sono in natura anziché in termini stipendiali. Ad esempio nella scuola i premi più ambiti sono quelli in termini di materiale didattico, attrezzature, oppure in un ospedale è la possibilità di aprire un asilo nido per i figli dei dipendenti.

Dalle amministrazioni alle persone: premi a dirigenti e dipendenti 
Incentivi per i singoli potranno anche essere definiti in termini di carriere, dato che i posti pubblici durano a lungo. Più che imporre regole rigide per la distribuzione dei premi ai singoli, bene fissare regole rigide per gli avanzamenti di carriera che impediscano le promozioni generalizzate.

Le amministrazioni premiate avranno automaticamente un premio per il dirigente apicale, la persona che in prima istanza è responsabile dell’operato della singola amministrazione e dei suoi dipendenti. Se l’amministrazione e il dirigente saranno premiati, si procederà ai livelli inferiori della piramide.

In questo sistema, il dirigente locale avrà tutti gli incentivi per valutare i suoi collaboratori in varia dimensione, anche prefigurando i loro potenziali avanzamenti di carriera. Dal modo con cui riesce a farlo e a giustificarlo agli occhi di tutti gli interessati, dipenderanno le motivazioni e la coesione del gruppo, dunque i risultati dell’unità che dirige, di cui sarà direttamente responsabile. Insomma non creiamo nuova burocrazia e, soprattutto, ciascun dirigente si prenda le sue responsabilità. A partire dal ministro competente..

Evitare un nuovo dualismo 
Abbiamo già scritto che non siamo d’accordo con la riforma dell’articolo 18 contenuta nel disegno di legge Fornero. È una proposta confusa, che non riduce incertezza procedurale delle imprese e che trasmette ansia ai lavoratori di un paese già depresso. Tuttavia, non ha senso creare un ulteriore dualismo in Italia: allo storico dualismo Nord-Sud, si è già aggiunto nel mercato del lavoro un lacerante dualismo precari-non precari. Non c’è davvero bisogno di aumentare ulteriormente la distanza fra pubblico impiego e lavoro privato alle dipendenze. Se il governo, come datore di lavoro, non è in grado di applicare a se stesso le norme che impone agli altri datori di lavoro, bene che riveda la riforma nel passaggio parlamentare, rendendola applicabile anche ai suoi dipendenti.

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