Al governo mancano 4 miliardi, colpa delle autonomie locali guidate dai popolari che avevano nascosto il disastro. Madrid sempre più lontana dal rispetto degli impegni presi con Bruxelles, con un deficit all'8,5 per cento. Mentre si aggrava la crisi bancaria scatenata da Bankia, nazionalizzata
La frecciata arriva sotto forma di “tweet”, e reca la firma di Alfredo Pérez Rubalcaba: “Ma non era Zapatero ad aver ingannato Rajoy?”. Domanda retorica, ovviamente, quella del leader socialista, dopo che, a sorpresa, il governo è stato costretto a rivedere al rialzo il deficit già disastroso del 2011: non più l’annunciato 8,5 per cento (che sforava comunque in modo clamoroso il tetto del 6 per cento previsto dal precedente esecutivo del Psoe) ma addirittura 8,9, che tradotto in euro fanno 4 miliardi in più. Tutta colpa dei conti delle amministrazioni regionali, e guarda caso proprio di quelle controllate dai popolari, il partito del presidente. A cominciare da Madrid, guidata dalla “lady di ferro” della destra spagnola, Esperanza Aguirre, che si vantava di essere l’unica ad aver fatto “bene i compiti”, mantenendosi abbondantemente al di sotto dell’obiettivo dell’1,3 per cento fissato dal governo: “Abbiamo chiuso l’esercizio all’1,1”, annunciava trionfante la “Espe”, ma a conti fatti il disavanzo è stato esattamente il doppio, 2,2 per cento. Particolare curioso: quello che doveva essere il “guardiano del rigore” del governo regionale, l’assessore all’Economia Antonio Beteta, nel frattempo è stato promosso da Rajoy vice-ministro della pubblica amministrazione, con il compito di vigilare sui bilanci delle autonomie locali.
Stesso discorso – anzi molto più grave – per la Comunità Valenciana, che per anni era stata indicata proprio dall’attuale premier come esempio di “buona gestione”. Erano i tempi dei progetti faraonici, quando sembrava che con i proventi della speculazione immobiliare si potesse finanziare qualunque stravaganza: dal fiasco del parco di divertimenti Terra Mitica al Gran Premio d’Europa di Formula1 (con condizioni capestro fissate da Bernie Ecclestone, che a questo punto renderebbero molto più gravoso per le casse pubbliche recedere dal contratto che continuare a organizzare una manifestazione diventata un lusso insostenibile).
E poi la Ciutat de les Arts i de les Ciències, sfavillante fiore all’occhiello della città, però costata molto più del previsto (come tutte le grandi opere dell’architetto Santiago Calatrava) e rimasta incompiuta. E ancora l’America’s Cup di vela, la visita di Papa Benedetto XVI nel 2006 (sulla quale indaga la magistratura) e l’aeroporto fantasma di Castellón, dal quale non è mai decollato un aereo. Opere finanziate generosamente dai tre istituti del sistema finanziario locale, che non a caso sono tutti scomparsi. Il Banco de Valencia e la cassa di risparmio Cam sono state commissariate dal Banco de España, mentre Bancaja si è unita a Caja Madrid nella fusione che ha dato vita a Bankia e che rischia di trasformarsi in un abbraccio mortale. Costretto alle dimissioni il presidente regionale degli sprechi, Francisco Camps – processato e poi assolto dall’accusa di aver ricevuto in regalo dodici abiti e alcune cravatte dai responsabili della trama di corruzione finanziaria Gurtel – il nuovo capo del governo locale Alberto Fabra ha trovato le casse vuote e ha dovuto mettere mano alla scure dei tagli: dai funzionari pubblici alla sanità all’educazione e ai trasporti. Ma qualunque piano d’austerità sembra insufficiente. I “bonos” regionali sono stati classificati come “spazzatura” dalle grandi agenzie di rating. E Valencia viene già indicata come la “Grecia spagnola”, un territorio sull’orlo della bancarotta.
Ma, se questo è il caso più clamoroso, anche i bilanci di altre regioni generano inquietudine. Rajoy sa bene che, a parte le difficoltà del sistema bancario intossicato dagli asset della bolla immobiliare, la galassia delle autonomie locali è l’altro elemento che mette a rischio la credibilità spagnola sui mercati e nella comunità internazionale. Per questo la vice-premier Soraya Sáenz de Santamaría ha giudicato “estremamente positivo” l’accordo raggiunto venerdì con le Comunità Autonome in seno al Comitato di politica fiscale e finanziaria: un’intesa in base alla quale le regioni si impegnano a realizzare un piano d’austerità da 18 miliardi, per chiudere l’anno con un deficit dell’1,5 per cento, così come concordato con Bruxelles.