Cinema

Napoli 24 e il paradosso dei (bei) film fantasma

C’è un piccolo film che gira nelle sale (poco, molto poco) in questi giorni. E’ un bel film ed è anche una storia emblematica di come vanno le cose del cinema (e della cultura) in Italia. Si chiama Napoli 24, lo hanno fatto 24 autori napoletani, quasi tutti sconosciuti ai più (ma uno dei 24 si chiama Paolo Sorrentino…, e altri sono giovani cineasti emergenti, come Pietro Marcello o Guido Lombardi, autore di Là-bas, premiato all’ultimo festival di Venezia). Ognuno di loro aveva tre minuti di film per raccontare Napoli, la traccia era libera. Il film era stato presentato un anno e mezzo fa al Festival di Torino, che è il festival più frizzante, cinefilo e colto d’Italia. Poi era sparito, ora – dopo lunga anticamera – esce in sala.

E’ un film intenso ed emozionante, centrifugo e chiaroscurale, proprio come Napoli. Non è un caso, forse, che tra i migliori film su Napoli degli ultimi tempi ci siano dei documentari: Passione di John Turturro, e questo Napoli 24. Napoli non si può raccontare, non si può chiudere in un plot né in un’occhiata (quanto era finta l’immagine con la città soleggiata vista dall’alto, Vesuvio sullo sfondo e pino in primo piano, che apriva o chiudeva tanti film-cartolina degli anni Cinquanta-Sessanta…). Napoli si può solo tratteggiare, la si può evocare per le sue mille contraddizioni, le sue bellissime bruttezze, quel “paradiso abitato da diavoli”, come diceva Croce, che la descrive meglio di ogni altra espressione. Il film non prova a sposare una tesi, presenta invece un occhio aperto, curioso e appassionato, disposto ad esercitarsi sul bello (certe vedute del mare) come sul brutto (il maiale che cerca il suo cibo tra i rifiuti e poi “guarda in macchina”), sul kitsch un po’ disperato e fuori tempo (il matrimonio dei rom sotto l’autostrada), come sul sacro (l’inevitabile San Gennaro). E soprattutto lo fa cercando di rubare un’immagine di una Napoli che si rilancia sempre a partire da se stessa, quasi che la città fosse una riserva infinita di sguardi e di storie: in questo, Napoli 24 evita ogni facile stereotipo (errore nel quale invece Turturro era in parte caduto). E’ un film che si divora per la passione, e si sorseggia per il piacere di ri-scoprire una Napoli inesauribile.

O meglio, lo si divorerebbe e sorseggerebbe, se lo si potesse vedere un po’ di più in Italia.  La storia distributiva di Napoli 24 è infatti una tipica storia italiana. Il film è uscito praticamente senza battage pubblicitario, venerdì 11 maggio: è “stato su” per una settimana in tre sole sale italiane (una a Roma, una a Bologna, una a Torino): nei primi sette giorni di programmazione ha totalizzato complessivamente, tra tutte e tre le sale, la bellezza di 943 spettatori (sì, novecentoquarantatre).
In Italia sempre di più i film si vendono attraverso la promozione, sempre di meno attraverso la curiosità, la passione, la cinefilia, che sono state uccise dal conformismo: in generale l’altro, l’alterità, la differenza sembrano valori fuori corso nell’industria culturale.

L’omologazione vince in sala come in libreria o nelle mostre d’arte. Napoli 24 oggi risulta programmato ancora in tre sale, una a Torino (una sala che ha un nome bellissimo e cinefilo, Fratelli Marx), una ad Ancona e una a Napoli (finalmente). Forse i gestori di queste sale sono piccoli eroi, che scelgono film belli ma senza ricche campagne di lancio. O forse pensano al cinema come a un luogo anche di vita e di emozioni.

Giuro che non ho nessun interesse a sostenere questo film se non quello di credere in un mercato diversificato: ma bisognerebbe reagire al disastro della distribuzione, magari con qualche atteggiamento controcorrente. Per esempio col passaparola: perché, spettatori di Torino, di Ancona, di Napoli, non andate a vedere il film in questo fine settimana e ne parlate con i vostri amici? Chissà che grazie al vostro passaparola le tre sale italiane tra una settimana non diventino cinque, e poi dieci… Chissà che un giorno non si cominci a pensare che come spettatori possiamo essere soggetti attivi di pensiero e di sguardo e non solo consumatori. Buone visioni…