Caro Saviano, ti scrivo a proposito della trasmissione di mercoledì sera e, in particolare, della tua narrazione iniziale della tragica vicenda della strage dell’amianto a Casale Monferrato. Ho apprezzato che una voce molto ascoltata abbia deciso di affrontare questo argomento al quale, da giornalista e da cittadino, mi sono appassionato al punto da dedicarvi anni di lavoro ininterrotto che finora hanno portato alla pubblicazione di due libri. Di conseguenza mi ha inevitabilmente gratificato il fatto che tu, l’altra sera, abbia scelto di attingere a piene mani dal mio lavoro. Anzi, dai miei lavori, dal momento che i libri dai quali sono stati palesemente tratti diversi passaggi del tuo bel monologo sono due: La lana della salamandra, che proprio il direttore del giornale che oggi ospita questa lettera pubblicò in allegato all’Unità nel 2008 (e che poi è stato tradotto e pubblicato in Spagna, Francia, Brasile e Messico), e il recentissimo Amianto.Processo alle fabbriche della morte che invece racconta tutto il processo Eternit, arricchito dalle emozioni e dai ricordi dei familiari delle vittime.
Quello che ho trovato assai meno piacevole, però, è una certa mancanza di riconoscimento per chi quel lavoro lo ha realizzato. Tu lo sai bene, fare un’inchiesta, una ricostruzione storica, un racconto completo di vicende complicateedenormi,comequesta, comporta davvero tanta pazienza, volontà, tempo, passione. Perché, dunque, non riconoscere a chi ha investito tanto, almeno la paternità di quel suo lavoro? Eppure non sono pochi i particolari che hai scelto di utilizzare nel tuo racconto e che, guarda caso, sono tutti presenti in quei due libri (nel primo soprattutto) e non altrove, perché si tratta di racconti, confidenze, piccole sfumature emerse dalla mia lunga frequentazione della gente di Casale e della signora Romana Blasotti Pavesi in primo luogo.
Per esempio l’episodio del cinema, la scelta di “Ninotchka” con il Mario che l’aveva già visto, non lo troverai da nessuna parte, solo ne La lana della salamandra; oppure le piccole chiavi di lettura germinate spontaneamente, da sole, mentre il libro veniva scritto (i Tartufi il Barbera e Krumiri, “la città bianca”…), o il dialogo tra Marengo e Pondrano che in trasmissione è stato ripreso dallo stesso libro, dove peraltro (e me ne scuso) è riportata in una versione lievemente incompleta. In quello nuovo, se vuoi, la trovi nella sua versione originale, in dialetto, contenuta anche negli atti del processo di Torino. E poi molte altre suggestioni, dettagli o personaggi che non sono rilevanti per la storia in sé, ma che a suo tempo mi erano sembrati utili per la narrazione: il Palombaro, la panettiera , il cappello di feltro del capo, il bancario, la spiaggetta… Ripeto, mi fa piacere che certe immagini siano risultate valide anche per il tuo racconto televisivo, però ti chiedo: cosa accadrebbe se domani in un mio libro, o in un articolo utilizzassi frasi, immagini ed episodi tratti da Gomorra amalgamandoli a un mio scritto senza dire che li ho presi da un tuo lavoro?
Ci sono questioni più gravi e più serie, certo, ma almeno tra chi si spende per importanti battaglie etiche e culturali ci si attende condotte coerenti. In questo caso “la macchina del fango” non c’entra. È solo una questione di correttezza. So bene anche che la televisione ha le sue regole: ma esistono mille modi per rispettarle e al tempo stesso non calpestare altre regole deontologiche e diritti altrui. Ho notato, tra l’altro, che per i pochi fotogrammi proiettati alle tue spalle, qualcuno ha avuto la premura di citare la fonte. Perché per le immagini sì e per le parole no? Eppure proprio le “parole” sono state il cuore della trasmissione.
Insomma, Roberto, vai avanti con le tue importanti campagne di informazione, acculturamento e sensibilizzazione di tanti giovani e meno giovani del nostro smemorato paese, continua il tuo prezioso lavoro, ma – per favore – sii più attento anche al lavoro dei tanti colleghi che cercano di fare altrettanto, quasi sempre con minore visibilità ma quasi mai con minore impegno. Sono sicuro che citare chi ha fatto cose che hai trovato interessanti e utili non toglierà assolutamente nulla al tuo valore e al tuo prestigio. Buon lavoro.
Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2012