“Ora è tutto sotto controllo” dice un infermiere che ha appena finito di fasciare la testa a un uomo con un trauma cranico. Si guarda attorno, poi sparisce dietro una porta scorrevole. Il “tutto sotto controllo” al Pronto soccorso dell’ospedale romano San Camillo vuol dire che nella sala d’attesa dei codici bianchi e verdi (i meno gravi) ci sono almeno 15 barelle ammassate una accanto all’altra. Non sedie, barelle. In sala d’attesa. Con sopra altrettanti pazienti affetti dai mali più diversi: c’è il 50enne con l’infiammazione intestinale che chiacchiera col vicino di sventura e l’anziana con la flebo attaccata e la badante di fianco, c’è il ragazzo addormentato e solo e la signora col piede rotto perché è caduta in una buca dell’asfalto stradale. E c’è il trauma cranico. La sala d’attesa non riesce a ospitare tutti, e allora il corridoio si riempie di sedie a rotelle e, ancora, barelle. Per non parlare dei vermi che fanno bella mostra nei bagni. “E oggi non è niente” , si affrettano a ripetere gli infermieri mentre rispondono alle domande dei portantini, parlano con i medici, compilano cartelle e chiamano le ambulanze per il trasporto degli anziani nelle case di cura convenzionate.
A distanza di tre mesi dallo scandalo dei pazienti curati a terra, nonostante giornalisti, telecamere e promesse politiche, al San Camillo non è cambiato niente. Sabato scorso, nella zona riservata ai codici rossi – imminente pericolo di vita – non si riusciva neanche a entrare. Le troppe barelle impedivano al personale di muoversi agilmente. Ieri nel corridoio adiacente alle sale visita dei codici meno gravi erano parcheggiate sei lettighe. Che, tradotto, vuol dire sei persone.
ABBANDONATE lì, da sole, se non fosse per i sorrisi, le parole di conforto e la disponibilità totale del personale medico e paramedico. All’interno di una delle sale, c’erano altrettanti anziani. Uno di loro stava per essere trasferito in una clinica. “Bisognerebbe prima stabilizzarli – si lasciava sfuggire un medico –, altrimenti tra quattro giorni ci tornano qui molto più gravi”. Lo chiamano “gioco dell’oca”. Le barelle sono così vicine che ci si dà la mano. E, soprattutto, se non si trovano i posti letto in reparto, i pazienti rimangono lì anche per giorni. Il pronto soccorso ostetrico non è da meno. Sulle sedie in attesa ci sono pancioni ammassati accanto a donne costrette al raschiamento (e non per la 194, la legge sull’aborto), sorrisi di quasi-nonni e lacrime ingoiate a fatica. La vita e la morte. Per entrare in sala operatoria si attendono anche dieci ore, durante le quali ti lasciano senz’acqua, senza risposte ed è già tanto se c’è un letto disponibile. Il 30 aprile, lunedì del “ponte”, c’era un solo medico per l’intera palazzina, e quindi per tagli cesarei, urgenze e raschiamenti. E non è detto che chi prima arriva meglio alloggi. In reparto ci sono medici precari, a cui il contratto viene rinnovato – se va bene – di due anni in due anni. E se non ci fossero loro non si riuscirebbero a coprire neanche le guardie. Le donne vengono mandate a casa due giorni dopo il parto naturale, tre dopo il cesareo. Non certo a cuor leggero, ma è l’unico modo per garantire un minimo turnover sui letti.
“Al San Camillo non ci sono assolutamente i problemi denunciati in questi giorni”, aveva detto il Direttore generale, Aldo Morrone, poche ore prima di essere sentito dai pm il 22 febbraio, nove giorni dopo lo scandalo dei materassi a terra nel pronto soccorso (documentati da un video). Eppure il 29 marzo era stato costretto ad incontrare le organizzazioni sindacali e a siglare una bozza d’accordo che prevedeva, entro ottobre, il potenziamento dei posti letto in ospedale: 18 per pazienti acuti, più altri 6 di terapia intensiva in Area di emergenza più il personale necessario all’assistenza. Non numeri esagerati, “numeri appena necessari a tamponare il problema” secondo Bruno Schiavo, rappresentante intersindacale dei medici.
“IL DIRETTORE avrebbe voluto prima realizzare una ‘discharge room’, per i pazienti in dimissione in attesa di uscita – prosegue Sandro Petrolati, della segreteria nazionale dell’Anaoo Assomed –, pensando di decongestionare l’ospedale, e l’abbiamo dissuaso: non sarebbe servita a nulla. Poi voleva ampliare la boarding area del pronto soccorso portandola al primo piano. Ma manca persino l’ascensore”. Così la firma sull’accordo. Che non è servito a nulla: il 7 maggio la Regione Lazio ha fatto sapere che, visti i vincoli che il ministero ha posto per lo sforamento del bilancio, non se ne parla. Nessun posto letto in più, solo 5 medici assunti (i precari sono una settantina, tra co.co.co. e borsisti, stipendio massimo 1.200 euro al mese). Il 12 maggio altra firma, stesse richieste, stesso impegno del Direttore con i sindacati. Che, però, non ci credono più e lunedì scorso sono entrati in stato di agitazione, occupando – per ora virtualmente – l’ospedale.