Davanti agli orrori recenti e recentissimi, di fronte al sangue degli inermi, assisto con viva preoccupazione al ritorno dei soliti stereotipi che, invece di spiegare, servono solo a confondere le idee. Lo avevo già postato giorni fa in un testo passato inosservato, forse perché grande è il bisogno psicologico di ricette semplificatorie; perché il dubbio critico risulta molesto ai più.
Infatti, per il manager Ansaldo gambizzato, non si è trovato niente di meglio che riscaldare le minestre sfornate tanti anni fa dai fast food della disinformazione subito dopo la bomba alla milanese Banca dell’Agricoltura: “sono stati gli anarchici!”, con l’improbabile ballerino Valpreda indicato quale autore materiale dell’eccidio. Poi ci volle la solitaria battaglia di Camilla Cederna (mentre qualcuno la derideva tirando in ballo una sua dipendenza erotica all’afrore dei bombaroli…) per smontare la vergognosa macchinazione.
Visto che di Cederne non c’è più neppure l’ombra, i terribili semplificatori aggiornano pigramente la pista fantasmatica del Male aggiungendo una pennellata di antinuclearismo e di iperambientalismo. Il tutto suffragato in tempo reale da testi rivendicativi dell’attentato, intrisi del campionario di scemenze mitomani e vergati in quel linguaggio infantile che rimanda alle mani maldestre che – in passato – erano già all’opera per costruire documenti e dossier grossolani allo scopo del puro depistaggio.
Poco importa che i motociclisti-killer dal volto coperto abbiano sparato con rara precisione, confermando ancora una volta che l’attentato terroristico è – tra l’altro – una forma di comunicazione, allucinante ma efficace. Per questo, invece di inseguire anarchici a fumetti, bisognerebbe capire che cosa e a chi si intendesse comunicare. Magari considerando che ormai l’Ansaldo è in vendita, probabilmente le sue attuali sedi saranno smantellate ma che molti conti e partite per le forniture del Gruppo (magari nel settore bellico) restano ancora in sospeso. Forse è questo il messaggio, che nessuno decodificherà facendo marce (di quattro gatti) contro il presunto ritorno agli “anni di piombo”. Lo stesso ragionamento vale per la matrice dello sconvolgente ammazzamento delle povere ragazze di Brindisi. Cosa si voleva comunicare e a chi?
Ma c’è un’ulteriore considerazione da fare al riguardo, se si vuole capire e reagire davvero, non cerimonialmente. Sale a dismisura nel Paese una vasta area di indignazione e frustrazione, nelle sacche crescenti di in occupazione e impoverimento, nelle periferie sempre più degradate. Un’area dove è possibile reclutare disperati e occultare i veri obiettivi di efferati regolamenti di conti.
Insomma, imprigionati nell’ottica del Palazzo pasoliniano, le analisi ripropongono stancamente le solite “questioni”: quella “morale” e quella “giudiziario-investigativa”. Forse sarebbe ora che cominciassimo a renderci conto che la vera questione esplosiva è “l’emergenza sociale”, perché tutti gli orrori a cui stiamo assistendo nascono nelle viscere di una società in decomposizione. E che senza una politica capace di mobilitare energie collettive, orientando alla speranza positiva, il processo degenerativo diverrà irreversibile. Altro che romanzesche piste anarchiche!