La stagione dell’idillio tra Mario Monti, l’uomo che doveva salvare la patria, e gli italiani, sembra essere un ricordo lontano per Palazzo Chigi. Almeno a leggere i dati degli ultimi sondaggi, distanti anni luce da quel 70% di consensi che ha segnato positivamente e in maniera che allora era apparsa indelebile, la nomina del professore bocconiano a capo di un governo di tecnici, lo scorso novembre. A sei mesi di distanza però, quel plebiscito è sbiadito e i cittadini del Belpaese che ancora credono nell’esecutivo senza politici si sono ridotti a un 35%-40%. Se non è il 25% dell’ultimo periodo di Silvio Berlusconi alla guida del Paese, sembra avvicinarglisi pericolosamente.
Che cosa è successo? “E’ semplicemente finita la luna di miele tra Monti e gli italiani – osserva Renato Mannheimer che guida l’Ispo, Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione – Una variazione così notevole si spiega con il fatto che il presidente del Consiglio ha dovuto affrontare problemi seri e molteplici, ma ancora di più con l’avvicinarsi della scadenza delle tasse e del pagamento dell’Imu”. Ma non soltanto: “Monti è apparso a molti troppo invischiato con i partiti protagonisti della vecchia politica. E in più, non c’è traccia del tanto atteso sviluppo né di un miglioramento della situazione economica”.
A sorprendere, dunque “non è tanto la percentuale di gradimento che gli italiani esprimono adesso, quanto quel 70% di consensi che ha accompagnato il suo insediamento a Palazzo Chigi”. Un calo fisiologico, dunque, che però sarebbe stato registrato solamente nell’ultimo periodo. “Il presidente del Consiglio è riuscito a mantenere alto il suo consenso per molti mesi – spiega Nicola Piepoli, deus ex machina dell’omonimo istituto demoscopico – Nelle ultime settimane, però, gli italiani si sono accorti che dovranno pagare più tasse”. Un addio senza speranza? No, secondo il sondaggista che vede in Corrado Passera la carta vincente del Governo: “Sono certo che ci sarà un’inversione di tendenza nell’opinione pubblica, dopo l’annuncio del ministro dello Sviluppo economico di un investimento di 100 miliardi per la crescita. Gli italiani oramai hanno ben chiaro che senza investimenti non si mangia”. Investimenti che rappresentano anche la ragione sociale delle istituzioni: “Altrimenti lo Stato che cosa ci sta a fare? E non me lo sto inventando, lo diceva Keynes”.
Per Piepoli, il rischio altrimenti è un arretramento di un centinaio d’anni: “Senza investimenti da parte dello Stato, non investirà nemmeno il cittadino. Sarebbe come tornarte al secolo scorso”. Ma se la previsione è quella di una ripresa dei consensi, resta un problema strutturale, nell’esecutivo, sulle strategie di comunicazione: “C’è un distacco evidente tra il Governo e il Paese. Io lo noto perché frequento i ministeri che sono miei clienti: si è ridotto a lumicino quello strato di collaboratori che riferivano ai ministri e che garantivano una pluralità di informazioni ma anche di comunicazione”.
Quello che mancherebbe, in soldoni, è lo scambio di opinioni. “L’allentamento di questo meccanismo non è un segnale positivo per un ministeriale come me, in senso giolittiano – conclude Piepoli – I ministri sono isolati”. Escluso però, almeno per ora, che corrano il rischio di una parabola involutiva copme quella vissuta dal precedente governo: “Sono due mondi troppo diversi. Questi, con tutti i loro limiti, si sentono servitori dello Stato. Sono in buona fede, sebbene sembrino appartenere a un’altra epoca. Li si può incontrare sul tram o sulla metro, come lei e me”.
di Sonia Oranges