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Libia, i crimini impuniti della Nato

Tra il primo e il secondo tempo della mattanza libica del 2011, tra i crimini commessi da Gheddafi a Bengasi e quelli commessi dal Consiglio nazionale di transizione (Cnt) a Sirte, tra i massacri commessi dai lealisti a Misurata e la cacciata di massa dei Tawargha da parte degli insorti, rischiano di rimanere in secondo piano i crimini commessi dalle forze Nato nel corso dell’intervento militare in Libia.

Un numero “piccolo” rispetto al computo dei morti della guerra in Libia, ma non per questo meno importante: da un dato minimo di 55 vittime civili fornito da Amnesty International a marzo alle almeno 72 secondo il rapporto diffuso da Human Rights Watch il 14 maggio.

Le due organizzazioni per i diritti umani concordano su tre questioni, drammatiche e importanti: tutte le vittime erano completamente estranee ai combattimenti e sono state uccise all’interno delle loro abitazioni; più della metà delle vittime erano donne e bambini; la Nato, per quanto abbia cercato di ridurre al minimo le “perdite collaterali”, finora non ha indagato né si è assunta la responsabilità di ammettere le proprie colpe e risarcire i parenti delle persone decedute negli attacchi aerei.

“La Nato fece tutto il possibile per ridurre al minimo i rischi per i civili, ma in una complessa campagna militare, questo rischio non può mai essere ridotto a zero”, ha dichiarato la portavoce Oana Langescu in replica al rapporto di Human Rights Watch.

Ad Amnesty International, il 13 marzo, la Nato aveva dichiarato di essere “profondamente dispiaciuta per ogni danno che possa essere stato causato da quegli attacchi aerei”, ma di non avere “alcun mandato per svolgere qualsiasi attività in Libia dopo la fine, il 31 ottobre 2011, dell’Operazione protettore unificato” e che “la responsabilità principale” delle indagini è delle autorità libiche.

Effettivamente, la Nato fece sforzi significativi per ridurre il rischio di causare vittime civili, ad esempio utilizzando munizioni guidate di precisione e, in alcuni casi, avvisando preventivamente la popolazione delle aree individuate come bersaglio. Durante i sette mesi di campagna militare aerea e marittima in Libia, furono lanciati oltre 9700 attacchi e vennero colpiti oltre 5900 obiettivi militari. Che le vittime civili, forse, siano state meno di 100 pare un miracolo.

Ma le frasi di rincrescimento e autoassoluzione non possono bastare.

Nelle abitazioni private colpite dagli attacchi aerei della Nato a Tripoli, Zlitan, Majer, Sirte e Brega, così come in altri centri della Libia, le due organizzazioni per i diritti umani non hanno rinvenuto alcuna prova che venissero usate per scopi militari al momento dell’attacco.

La sera dell’8 agosto 2011, due abitazioni, appartenenti alle famiglie Gafez e al-Ja’arud, sono state colpite a Majer, a ovest di Misurata. Secondo le testimonianze della famiglia sopravvissuta, 34 persone tra cui otto bambini e otto donne, sono morte e diverse altre sono rimaste ferite in tre distinti attacchi aerei. La famiglia non era a conoscenza di movimenti di persone o attività in corso nei pressi delle abitazioni che potessero spiegare gli attacchi.

Quanto al trasferimento della “responsabilità principale” alle autorità libiche, va detto che prima del 31 ottobre 2011 la Nato non ha fatto nulla per indagare sui civili uccisi e feriti dai suoi attacchi aerei nelle aree poi passate sotto il controllo del Cnt. Quelle aree erano pienamente accessibili in condizioni di sicurezza a chi avesse voluto indagare. Tutti i sopravvissuti e i parenti dei civili uccisi dalla Nato che Amnesty International ha incontrato hanno affermato di non essere mai stati contattati dalla Nato o dal Cnt.

Se meno di 100 vittime civili sembrano poche, non è inutile ricordare che nel mar Mediterraneo morirono, nel tentativo di raggiungere l’Europa, almeno 1500 migranti in fuga dalla Libia in guerra. In un periodo nel quale mai come prima il Mediterraneo era pattugliato dal cielo e dal mare, è uno scandalo enorme.

La “protezione dei civili”, ossia ciò che molti paesi erano andati a fare, con entusiasmo o imbarazzo, in Libia, evidentemente per quelle 1500 persone non valeva.