Cronaca

Mazzette e corruzione senza fine. Ecco come si ricostruisce nell’Aquila del dopo-sisma

La denuncia di un imprenditore edile: “Soldi per avere voto favorevole in assemblea di condominio”. Sotto accusa il sistema scelto per gli interventi: nessuna gara pubblica e trattative private

“Ci sono offerte fuori busta per aggiudicarsi i lavori di ricostruzione all’Aquila. Un giro di soldi diffuso ed oscuro. A me ad esempio sono stati chiesti dei soldi per vedermi commissionate alcune ristrutturazioni. A cosa serve? Per avere il voto favorevole nell’assemblea di condominio”. A parlare così è un costruttore che lavora nel settore edile nel capoluogo abruzzese distrutto dal sisma del 6 aprile 2009.

Da allora la città è un grande cantiere. Ma i lavori vengono assegnati senza gara. A L’Aquila, verranno spesi 7 miliardi di euro attraverso trattativa privata come se si dovesse imbiancare la parete della propria casa o cambiare le piastrelle. In questa maniera sono stati già assegnati 9.381 lavori per le case B e C (con danni lievi) e 7.041 lavori per le case E, (gravemente danneggiate) dove i cantieri non sono ancora partiti. 

Le richieste corruttive denunciate dal costruttore, che chiede l’anonimato per timore di non vincere più appalti, gettano molti dubbi sulla modalità scelta per ricostruire la città. Quella dell’indennizzo: ovvero considerare le risorse dello Stato per la ricostruzione come un risarcimento a un privato di un danno. E non come spesa per appalti pubblici. Per molti era questa l’unica strada per evitare l’indizione di 20mila gare d’appalto, buste chiuse, commissioni aggiudicatrici e gli immancabili ricorsi. In questo modo dai lavori da poche migliaia di euro fino a quelli che valgono milioni come gli aggregati del centro storico, non si indicono appalti, e ogni proprietario sceglie l’impresa preferita. Con l’aiuto del proprio amministratore di condominio. Figura, quest’ultima, che diventa decisiva. “Gli amministratori spesso chiedono soldi alle imprese, per facilitare il voto in assemblea”, continua il costruttore. “A me sono stati chiesti duecentomila euro, per un lavoro da qualche milione. Non ho accettato anche perché non avevo la liquidità”, spiega. Soldi chiesti anche da un consigliere comunale per oliare le pratiche, ma il costruttore non vuole indicarne il nome.

L’allarme non è un caso isolato. Il governo ha messo in campo alcuni strumenti di controllo: la tracciabilità finanziaria e la clausola antimafia, ovvero la possibilità di rescindere il contratto in caso di provvedimenti in danno dell’appaltatore, oltre ai controlli a campione degli organi inquirenti e della prefettura. Ma questo fiume di denaro nero è difficile da intercettare: “Il reato di corruzione tra privati – ricorda un inquirente – è molto difficile da perseguire”.

Anche nella relazione della Direzione nazionale antimafia, firmata dai magistrati Diana De Martino e Olga Capasso, veniva lanciato l’allarme sulla ricostruzione: “Truffe aggravate per aver gonfiato illecitamente il progetto dei lavori da eseguire, inidoneo adeguamento alle misure tecniche antisismiche, lavori eseguiti con materiale scadente ed altro ancora, spesso in concorso con gli stessi terremotati o con gli amministratori di condominio”. Una ricostruzione così viziata da episodi corruttivi, che porta ad una riduzione del livello di sicurezza, visto che le imprese caricheranno i costi della corruzione sui costi della manodopera e dei materiali.

Il disastro è completo se si considera un altro aspetto. “La ricostruzione privata – spiega l’ingegnere Gianfranco Ruggeri, docente all’università dell’Aquila – sta avvenendo con il criterio del miglioramento sismico, con una soglia tra il 60% e l’80%. E non con l’adeguamento che prevedrebbe il 100% di sicurezza antisismica”. Secondo l’ingegnere, anche lui direttamente impegnato nei lavori di ricostruzione “stiamo montando su una macchina incidentata gomme semi-lisce e non nuove. Non è un buon viatico in termini di stabilità del veicolo”. La corruzione, dunque, si innesta in un sistema di ricostruzione che tende al risparmio e non garantisce la sicurezza.

Le mani dei clan

Poco dopo il suo insediamento il governo Monti ha stabilito, per i pochi lavori ancora da assegnare, nuove regole e controlli stringenti. Misure tardive, per di più da molti ritenute inefficaci. Come la white list delle imprese pulite, annunciata più volte in pompa magna nelle visite dell’allora primo ministro Silvio Berlusconi. Una misura mai resa concretamente operativa. Inoltre la prefettura di L’Aquila, che è molto attiva attraverso lo strumento dell’interdittiva antimafia per bloccare gli affari dei clan, compie uno screening delle aziende impegnate nei lavori, ma è difficile controllare un flusso di ventimila imprese. D’altronde le infiltrazioni delle mafie avvengono attraverso teste di ponte, imprenditori locali risucchiati e alimentati dal denaro sporco del crimine organizzato. “La maggior parte delle imprese infiltrate da interessi mafiosi – denuncia la Dna nell’ultima relazione – hanno sede altrove, prevalentemente a Roma, in Abruzzo, in Veneto e in Emilia Romagna, almeno per quanto riguarda l’esperienza maturata fin qui”. I soldi delle mafie si  nascondono, alimentano imprese locali, le cronache giudiziarie hanno raccontato diversi casi di infiltrazione. Emblematico il caso della ditta di Stefano Biasini, imprenditore aquilano arrestato nel dicembre scorso per contiguità con la cosca di ‘ndrangheta Caridi. La sua impresa non aveva avuto alcun stop prefettizio prima dell’inchiesta. Il padre dell’imprenditore arrestato, Lamberto Biasini, di mestiere fa proprio l’amministratore di condominio. Ha gestito 19 pratiche di ricostruzione, in alcuni casi assegnando gli appalti alle imprese del figli, secondo l’accusa degli inquirenti infiltrate dalle ‘ndrine. Non solo ‘ndrangheta, ma anche mafia e camorra agiscono con la stessa logica: puntare su imprenditori del posto che da anni lavorano nei territori, insospettabili cavalli vincenti per le holding criminali che vogliono investire e riciclare. E sono molte le imprese che vincono appalti anche milionari, ma che hanno capitale sociale di poche migliaia di euro.

L’Aquila non fa i conti solo con le infiltrazioni, ma anche con diverse inchieste aperte. Oltre a quelle che riguardano i vertici della protezione civile, a partire dalla riunione della commissione grandi rischi, anche sui puntellamenti del centro storico c’è l’attenzione degli inquirenti, puntellamenti ormai scaduti, così come indagini provano a far luce sull’allargamento dell’area del cratere a comuni ed edifici che non ne avevano diritto. Tra inchieste, corruttela e malaffare all’Aquila, a tre anni dal terremoto, il ritorno alla normalità è solo un miraggio.

di Manuele Bonaccorsi e Nello Trocchia