Mi rendo conto che la contemporaneità è fatta di tante cose diverse, tra cui la vittoria di Hollande in Francia, la vittoria dei grillini alle comunali di Parma. Sono tutti episodi che vengono attentamente valutati e su cui è necessario riflettere profondamente. E’ scontato ma, una volta preso atto di ciò che è incontrovertibile, mi chiedo se sia altrettanto necessario demonizzare e lapidare intellettualmente il Gramsci che, prendendo in considerazione il periodo ‘pionieristico’ del calcio, scrive sull’Avanti! del 26 agosto 1918: “Osservate una partita di foot-ball: essa è un modello della società individualistica: vi si esercita l’iniziativa, ma essa è definita dalla legge; le personalità vi si distinguono gerarchicamente, ma la distinzione avviene non per carriera, ma per capacità specifica; c’è il movimento, la gara, la lotta, ma esse sono regolate da una legge non scritta, che si chiama ‘lealtà’, e viene continuamente ricordata dalla presenza dell’arbitro”.
Ed ancora, è forse necessario demonizzare un raffinato poeta e traduttore come Valerio Magrelli per aver partorito, molto di recente, un romanzo, Addio al calcio? e, per continuare sulla stessa lunghezza d’onda, dovremmo forse lapidare intellettualmente un impegnato magistrato del lavoro palermitano come Luigi Cavallaro se accanto a volumi come, La caduta tendenziale della nuova economia (manifestolibri 2001) e Il modello mafioso e la società globale (manifestolibri 2004), e accanto alla collaborazione con i quotidiani, “Il manifesto” e “Liberazione”, ha concepito di recente, sempre per la stessa casa editrice un volume Interismo-leninismo? E, per tornare sul parallelismo musica-calcio, dovremmo forse demonizzare e non ascoltare gli “scherzi” di Gustav Mahler, in particolare quello della Prima Sinfonia, dove l’uso parodistico del tempo di valzer rammemora, deformandoli fino al sarcasmo, i modelli della musica di consumo viennese? Un uso parodistico che accompagna fino all’estrema estenuazione un mondo che sta venendo meno. E ancora, ultimo esempio tra i tanti che potrebbero essere addotti, dovremmo forse lapidare e non ascoltare il grande binomio Brecht-Weill per aver inserito in maniera costruttiva, nel proprio teatro musicale, spunti e suggestioni della musica popolare dell’epoca?
Dice molto bene chi considera i concetti di ‘classico’ e di ‘popolare’ come variabili e la filosofia non come una forma di sapere perenne, immutabile, che si alimenta solo di se medesima. Essere convinto di questo non significa affatto negare il fascino del Discorso sulla servitù volontaria di Etienne de La Boétie, o quello, altrettanto corrosivo, del Barone d’Holbach nel Saggio sull’arte di strisciare ad uso dei cortigiani. La filosofia è proprio questo, confronto ineludibile con la propria contemporaneità senza genuflessioni pregiudiziali.