Probabile che il termine “mani pulite” compaia per la prima volta nel film di Francesco Rosi, Le mani sulla città (1963), straordinario apologo sulla collusione tra potere politico e potere economico con al centro la speculazione edilizia nella Napoli del primo dopoguerra. Film che potrà essere visto giovedì 24 maggio alle 22.15 al cinema Lumiere di Bologna nell’ambito della rassegna Il cinema dell’impegno civile che inizia oggi e prosegue fino al 30 maggio con titoli altri titoli di Rosi, Elio Petri, Luigi Zampa ed Ettore Scola.
Il 90enne Rosi, annunciato Leone d’Oro alla Carriera al prossimo festival di Venezia, la fa da padrone con tre titoli che andrebbero imparati a memoria per onestà morale e spettacolarizzazione cinematografica.
Chi ha visto Le mani sulla città ricorderà la sequenza del consiglio comunale partenopeo quando la maggioranza, oltretutto tendenzialmente monarchica più che già palesemente democristiana, risponde alle richieste di chiarezza delle minoranza di sinistra su alcune aree edificate in fretta e furia senza aver rispettato troppe regole amministrative. Ecco allora uno scavalcamento di campo che riassume tutta la politicità e la parallela spettacolarizzazione del cinema di Rosi. Una trentina di consiglieri scuote e sventola in alto le mani urlando: “Noi abbiamo le mani pulite”.
Cinema che denuncia il malaffare quello di Rosi, che squarcia il velo dell’ipocrisia nazionalpopolare italiana sulle vicende più scabrose della già allora politica consociativa che flirta con la criminalità organizzata, ma che non dimentica mai di affascinare lo spettatore, di coinvolgerlo visivamente in un turbinio di immagini che paiono girate da qualche regista di gangster movie americano. Si pensi alle carrellate aeree che aprono proprio Le mani sulla città, con quelle immense distese di enormi edifici segno tangibile di una speculazione edilizia galoppante e già affermata ancor prima che entri in scena il costruttore senza scrupoli Nottola (Rod Steiger).
Non che Rosi nel ’63 fosse alle prime armi delle denuncia. Del 1962 è un altro autentico capolavoro Salvatore Giuliano (martedì 29 maggio, ore 20): narrazione a ritroso nella vita del bandito siciliano, autore del massacro di Portella della Ginestra, partendo da un’inquadratura che fa la storia del cinema degli anni sessanta con Pietro Cammarata/Giuliano steso a terra cadavere in un assolato e arido cortile di Castelvetrano. Rosi inizia sostanzialmente qui (I magliari ’59 e La sfida ’58 sono film più di genere) la sua lezione d’autore per il cinema italiano, scandagliando i casi storici insoluti che rendono l’Italia del dopoguerra una fiacca potenza politica, subalterna ai servizi segreti americani, sacrificata sul piatto della guerra fredda.
Si veda un altro capolavoro assoluto di Rosi, nel ’72: Il caso Mattei (domenica 27, ore 20), fortunatissimo biopic sul presidente dell’Eni (un Volontè in stato di grazia), ex partigiano, che aveva ben scelto una via autonoma al petrolio e che viene fatto saltare, letteralmente, in aria, sui cieli di Bascapé (Pavia) il 27 ottobre 1962.
Ed è attraverso Gian Maria Volontè, attore-intellettuale-politico, che l’impegno civile della rassegna si dirama in direzione di Elio Petri, regista spesso incompreso, tenuto ai margini di una produzione italiana anni sessanta-settanta, rinverdita ma anche incrinata dalla presenza o assenza di compromessi ideologici. Eccoli capolavori come La classe operaia va in paradiso (sabato 26, ore 20) o Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (22 maggio, ore 20). Chiudono la rassegna gli introvabili Un uomo da bruciare (1962) dei fratelli Taviani sul sindacalista Salvatore Carnevale ucciso dalla mafia nel 1955 (sabato 26 maggio, ore 18) e un documentario del ’73 di Ettore Scola: Trevico-Torino (viaggio nel Fiat-Nam), con cosceneggiatore l’ex sindaco Pci di Torino, Diego Novelli.