La mia replica alla lettera della Federazione Autori (che pubblico di seguito) in risposta al mio post del 16 maggio Nuovo Statuto Siae, il diritto d’autore è dei ricchi.
È giusto e normale che la Siae sia governata dai cantautori e dagli editori più ricchi.
È questa la sintesi della lettera, a firma del Presidente, Gino Paoli, con la quale la Federazione degli autori ha preso posizione sulla notizia – data nei giorni scorsi da queste stesse colonne – relativa alla previsione, contenuta nel nuovo Statuto Siae, in forza della quale ciascun socio, da domani, avrà diritto, in assemblea ad un voto più ad un altro voto per ogni euro distribuitogli – a titolo di diritti d’autore – dalla stessa Siae.
Due le ragioni principali per le quali, una scelta apparentemente assurda ed antidemocratica, secondo i ricchi della musica italiana, andrebbe invece considerata giustificata ed anzi opportuna.
Innanzitutto la Siae sarebbe un “Ente pubblico economico a base associativa che amministra esclusivamente capitali di privati cittadini (Autori ed Editori, piccoli e grandi)” e, in secondo luogo, l’interesse dei più ricchi sarebbe necessariamente coincidente con quello dei meno ricchi ovvero quello “di combattere chi tenta di eludere il riconoscimento del diritto d’autore e dell’opera dell’ingegno”.
È una risposta da furbetti, anzi da anziani e navigati volponi, anche tenuto conto del fatto che l’età media di quelli che secondo il loro Presidente, Gino Paoli dovrebbero considerarsi i ricchi della Siae, ai quali si farebbe riferimento nel precedente post, è di oltre 63 anni.
Per cominciare non è corretto che i futuri “azionisti di maggioranza” della società riscoprano ed esaltino la natura privatistica dell’ente quando di tratta di rivendicare il diritto ad esserne oligarchi, dimenticando i privilegi – primo tra tutti la anacronistica condizione di monopolio nella quale la Siae continua ad operare – che derivano alla Società italiana autori ed editori dalle numerose – e francamente eccessive – funzioni pubblicistiche che la legge e lo Stato le attribuiscono e garantiscono.
La Siae non è una società per azioni come le altre ed i suoi azionisti non possono rivendicare una tanto ampia autonomia dopo aver, per decenni, tratto forza, vigore e mercato da guarentigie caratteristiche degli enti pubblici e para-pubblici.
Se vogliono autonomia, gli anziani Signori della musica italiana, fondino la loro società privata di gestione dei diritti, la gestiscano in un mercato libero e concorrenziale, si sfidino con le ben più efficienti società di gestione dei diritti che già operano in europa e con quelle moderne, efficienti e commercialmente innovative ed aggressive che le decine di migliaia di cantautori ed editori più giovani e meno ricchi – oggi costretti ad iscriversi alla Siae – costituirebbero per promuovere la loro arte e gestire i propri diritti.
Troppo comodo rivendicare autonomia dalle regole di uno Stato democratico, mentre si trae forza e fiumi di denaro dalle regole di quello stesso Stato.
Non è vero poi che gli interessi dei ricchi della Siae sono convergenti con quelli dei meno ricchi perchè non è, naturalmente, vero che l’unico compito di chi governa la Siae è quello di garantire il rispetto, nell’interesse di tutti, del diritto d’autore.
Detenere saldamente il timone della Siae, come gli anziani Signori della musica italiana si stanno candidando a fare attraverso la modifica statutaria appena introdotta, significa anche – ed anzi soprattutto – decidere come deve essere ripartito ogni anno il fiume di centinaia di migliaia di euro che affluisce nelle casse dell’Ente e deve poi essere distribuito tra le decine di migliaia di iscritti, secondo criteri oscuri ed assai poco meritocratici che nell’esercizio della propria esaltata autonomia privata, gli azionisti di maggioranza della SIAE stabiliscono ed impongono alle decine di migliaia di soci.
Governare la Siae, significa – ma questo, naturalmente, gli anziani ricchi estensori della lettera non lo scrivono – decidere le regole che consentono ai ricchi di essere da decenni trai più ricchi, condannando i meno ricchi, a rimanere tali, sulla porta del “maso chiuso” – la definizione è del direttore generale della stessa Siae, Gaetano Blandini – nel quale vengono assunte tutte le decisioni che contano della Società di Viale della letteratura.
Sono cresciuto con mio nonno che canticchiava le canzoni di Gino Paoli e con mi madre che intonava Claudio Baglioni, ho cantato a squarciagola per l’intera adolescenza romana Venditti e De Gregori ed ho quindi – come milioni di italiani – un debito di cultura musicale enorme con loro e con gli altri grandi nomi della musica italiana richiamati nella lettera della Ferazione degli autori ma non è credibile che l’età media dei “ricchi” della nostra musica superi il muro dei 63 anni (n.d.r. la media è calcolata sull’elenco, ovviamente non esaustivo, contenuto nell’incipit della lettera di Paoli).
L’età anagrafica non conta quando si tratta di arte ma quando si raggiungono picchi di questo genere, il dato – una media di ultra sessantenni – non può non indurre almeno a sospettare che qualcosa non abbia sin qui funzionato nella distribuzione della ricchezza e del potere in casa Siae e, più in generale, nel mondo della cultura italiana.
Perchè nalla cabina di regia di Viale della letteratura non siede nessuno dei ragazzini prodigio – che la loro musica piaccia o meno – che spopolano nella musica straniera?
Forse se la governance dell’Ente fosse stata affidata – o, almeno, venisse affidata domani – ad artisti più giovani ed innovativi, molto sarebbe cambiato – o potrebbe cambiare – nella gestione collettiva dei diritti nel nostro Paese.
La gerontocrazia, produce, inesorabilmente, gerontocrazia alla guida del Paese, come alla guida di ogni carrozzone para-statale.
Non ci si venga, quindi, a raccontare che il bene degli anziani Signori della musica italiana – e quello dei grandi editori – coincide necessariamente, con quello delle decine di migliaia di soci coatti – varrà la pena di ricordare a Gino Paoli ed ai suoi colleghi azionisti che, in Italia, non ci sono alterative alla Siae – della Società italiana autori ed editori.
Nessuno – e men che meno io – vuole denigrare nessuno ma, talvolta, forse, anche chi è abituato ad aprire la bocca e dargli fiato per intrattenere con straordinarie melodie il suo pubblico, farebbe bene a ragionare e studiare i problemi meglio e più a fondo prima di cantare, pardon, parlare.
La Siae, sino a quando sarà un ente pubblico economico, investito di straordinari poteri pubblicistici e posto in condizione di operare in regime di quasi-monopolio legale (n.d.r. è sempre più lecito dubitare che il monopolio della SIAE possa considerarsi legittimo) dovrà essere di tutti ed essere governata nell’interesse di tutti e non solo di quelli più ricchi ed anziani.
È questo – al contrario di quanto riiene la Ferazione degli autori – che sembra giusto, normale e ovvio ma, tocca al Governo, metterlo nero su bianco, respingendo al mittente il nuovo Statuto della Siae.
Se non dovesse avvenire, starà ai soci della SIAE, lasciati fuori dalla cabina di comando, chiedere al giudice amministrativo che torni a pronunciarsi – come già accaduto molti anni or sono – sulla necessaria eguaglianza di diritti in capo ad ogni socio dell’Ente.
La lettera della Federazione Autori: