Confermata la sentenza in appello per Michele Giovine della lista per le regionali 2010 a sostegno del candidato leghista. I difensori del governatore avevano chiesto l’assoluzione: “Così fan tutti. Ribaltare il risultato è tradimento della volontà popolare”
Dopo le sconfitte della Lega Nord ad Asti e ad Alessandria, al governatore piemontese Roberto Cota arriva un altro colpo. Lo ha assestato la Corte d’appello confermando la sentenza a Michele Giovine, il consigliere regionale della lista “Pensionati per Cota”, condannato il 30 giugno scorso per le firme elettorali false alle regionali 2010. La lista aveva ottenuto 27mila voti, sufficienti a Cota per battere il presidente uscente Mercedes Bresso, che ora chiede al consigliere regionale di restituire rimborsi elettorali e indennità accumulati in questi due anni.
La decisione della terza sezione penale d’appello è arrivata all’una e mezza, dopo alcune ore di camera di consiglio. La corte, presieduta da Alberto Oggé, ha confermato la condanna a due anni e otto mesi, più le pene accessorie e divieti non irrilevanti per un eletto: la sospensione per due anni dai pubblici uffici e per cinque dai diritti elettorali. Per l’altro imputato, il padre del consigliere regionale, Carlo Giovine, la condanna è stata ridotta a due anni con la condizionale. Diminuita a un anno e quattro mesi la durata delle pene accessorie. Inoltre i due devono anche risarcire tremila euro alle parti civili: l’ex presidente e la lista “Insieme per Bresso”, Luigina Staunovo della lista “Pensionati”, Angelo Bonelli per i Verdi e Marco Pannella dei Radicali. Gli imputati, all’epoca dei fatti, erano “pubblici ufficiali”. Entrambi erano consiglieri comunali: Michele Giovine a Gurro (Verbania) e il padre Carlo a Miasino (Novara). Queste cariche permettevano loro di usare procedure più semplici per autenticare le firme dei candidati della lista “Pensionati per Cota”. Bastava farlo nei rispettivi comuni.
I due, però, non hanno rispettato neanche questa condizione, come risulta dalle indagini del sostituto procuratore Patrizia Caputo e dagli accertamenti sulle utenze telefoniche: le firme non erano quelle fatte dai candidati (parenti e anziani conoscenti, alcuni residenti in altre regioni) davanti ai due “ufficiali” nei municipi di Gurro e Miasino il 25 febbraio 2010 perché padre e figlio erano altrove. In base a ciò il sostituto procuratore generale Vittorio Corsi aveva chiesto la conferma della condanna. Sabato i difensori avevano chiesto l’assoluzione sostenendo che “così fan tutti”: “Succede ovunque, anche in Piemonte. Ma sono condotte prive di conseguenze troppo rilevanti e, per questo motivo, punite con pene molto più basse”, ha affermato Cesare Zaccone. Inoltre, ha sostenuto l’avvocato Giovanni Nigra, il falso di Giovine non dovrebbe danneggiare l’elezione del governatore leghista perché “nel simbolo della lista di Giovine il nome di Cota compariva grande come una casa, ed è stato votato da 27 mila piemontesi”. Per questo motivo, secondo Nigra, “tentare di ribaltare a tavolino una sconfitta è un tradimento della volontà popolare”.
Non sono della stessa opinione gli avvocati di parte civile: “Per due volte i giudici hanno detto che la vittoria di Cota si basa su dei falsi – ha affermato l’avvocato Gianpaolo Zancan, legale della lista “Insieme per Bresso” -. Chiunque ne prenderebbe atto”. Per il legale dell’ex governatrice, Paolo Davico Bonino, “occorre arrivare all’annullamento delle elezioni”. Concordi anche i legali dei Verdi e dei Radicali. Più incerta la “zarina” Bresso: “Dubito che Giovine si dimetterà. Quanto meno spero che gli venga bloccato ogni versamento di provenienza pubblica a garanzia dell’evidente danno patrimoniale causato alle casse pubbliche. Dall’inizio legislatura tra rimborsi elettorali, spese di funzionamento e le sue indennità di carica, Giovine ha percepito più di un milione di euro”. Per questo si augura che la Corte dei Conti indaghi. Intanto martedì prossimo al Consiglio di Stato riprenderà l’iter amministrativo nato dai primi ricorsi elettorali.