Per ora si tratta di un temporale, in futuro, chissà, potrebbe trasformarsi in una bufera. Quel che è certo è che JP Morgan è ormai al centro dell’attenzione, e non certo per motivi onorevoli. Secondo i rumors di mercato, la banca d’affari Usa potrebbe aver registrato perdite per 7 miliardi di dollari nell’ambito delle sue celebri operazioni di trading sui derivati condotte a Londra. Un disastro ben superiore sia alle attese – il Ceo della banca James Dimon aveva preannunciato perdite semestrali per 800 milioni – sia alle stime effettuate in seguito dalla stessa banca.
Dieci giorni fa, Dimon aveva ammesso una perdita di due miliardi salvo poi ipotizzare un ulteriore miliardo di rosso. Ieri, il quotidiano britannico Evening Standard, citando fonti interne ai mercati, ha corretto al rialzo parlando di 7 miliardi dollari. Sempre ieri, Bloomberg ha invece scoperchiato il passato di Irvin Goldman, l’uomo che supervisionava le attività di trading sui titoli a rischio. Nel 2007, sostengono fonti vicine alla questione, Goldman sarebbe stato licenziato da un’altra società finanziaria, la Cantor Fitzgerald LP, dopo aver condotto alcune scommesse rischiose costate alla sua società una perdita imprecisata e una denuncia per negligenza. Goldman è entrato in JP Morgan poco dopo il licenziamento dalla Cantor per sostituire il cognato Barry Zubrow, trasferito ad un’altra unità.
Il grande interrogativo, a questo punto, verte sui potenziali rischi cui andrebbe ora incontro la banca americana. In questi giorni il Financial Times, citando fonti di mercato, ha lanciato una stima del controvalore nominale del portafoglio dei titoli a rischio detenuti dall’istituto. Se il calcolo risultasse esatto, JP Morgan avrebbe a bilancio titoli potenzialmente tossici per 100 miliardi di dollari. I dettagli non sono noti, ma secondo il quotidiano della City l’insieme dei titoli a rischio comprenderebbe diversi prodotti strutturati unitamente a svariati Asset backed Securities, titoli coperti da garanzie per così dire “a rischio”. L’espressione risulta familiare, e non è un caso. Nel 2008, questi prodotti derivati divennero improvvisamente famosi come micidiali agenti patogeni della crisi: le Securities in questione erano i famigerati Cdo’s (Collateralized debt obligations), i loro collaterali non erano altro che i mutui subprime, crediti, insomma, a forte rischio insolvenza.
Ancora non è chiaro su cosa abbia scommesso esattamente JP Morgan. Di certo, ha ricordato il Financial Times, si sa che un paio di anni fa una potente lobby finanziaria londinese sollevò molte perplessità sulle posizioni assunte dalla banca americana nel comparto immobiliare britannico. Secondo questa fonte, JP Morgan avrebbe acquisito quasi la metà delle residential mortgage backed securities (derivati coperti dai mutui contratti dai cittadini Regno Unito) immesse sul mercato dall’ottobre 2009 in avanti per una cifra di 13 miliardi di sterline. Altrettanto nota è la complessa posizione assunta dalla banca Usa sul Markit CDX NA IG Series 9, un misterioso indice sullo stato di salute di 121 compagnie americane ad elevato rating costruito sui Credit default swaps (i derivati che assicurano in caso di bancarotta sulle obbligazioni) delle stesse. L’imprevisto andamento dell’indice, che comprende Cds su colossi come Kraft Foods e Wal-Mart Stores, sarebbe all’origine dei guai di JP Morgan.
Ieri, JP Morgan ha sospeso il maxi piano di riacquisto delle proprie azioni sul mercato chiamando in causa la necessità di mantenersi in regola con i requisiti imposti dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria. L’intervento di buyback, da 15 miliardi di dollari, puntava ovviamente al sostegno del valore del proprio titolo sul mercato che, dall’annuncio della perdite, ha subito un forte ribasso bruciando a Wall Street circa 30 miliardi di capitalizzazione.