Il meccanismo messo in atto consisteva nel tentativo di emettere assegni intestati a teste di legno per poi incassarli. Ma i soldi non arrivano. Un'ordinanza della Dda di Venezia ha raggiunto 13 persone: dieci in carcere, uno ai domiciliari e altri due sottoposti all'obbligo di dimora
Il bancario, gli imprenditori e il patron della squadra di calcio del paese. Uno spaccato di realtà veneta chiusta tra la turistica Eraclea, ‘perla’ del litorale veneziano, la ricca San Donà di Piave e le campagne di Meolo. Una realtà in cui la camorra allunga le mani, in questo caso per una truffa milionaria. Ed è quello che è successo: un bancario veneziano, con l’aiuto di un amico, costruisce truffa ai danni delle banche, quella in cui lavora ma anche altre sul territorio veneziano e trevigiano.
Il meccanismo è mettere in pagamento assegni intestati a teste di legno per poi incassarli. Ma si accorge che forse che con l’aiuto di qualche esperto il giochino gli riesce meglio e frutta di più: a tavolino quasi 4 milioni di euro da dividere un po’ per tutti. Peccato che il meccanismo si inceppi. I soldi non arrivano e il bancario da burattinaio diventa vittima: i casalesi lo minacciano di morte, picchiano lui e il suo amico, cercando di estorcergli il rendiconto del loro aiuto, perchè se tutto è andato a scatafascio mica è colpa loro. Il legame, quello tra i (poco) furbi veneti ed esponenti campani vicini al clan dei casalesi, viene interrotto da un’ordinanza della Dda di Venezia che ha raggiunto 13 persone: dieci in carcere, uno ai domiciliari e altri due sottoposti all’obbligo di dimora. Le ipotesi di accusa vanno, a diverso titolo, dalla truffa aggravata, al concorso in estorsione, ricettazione, lesioni, falso. Reati che secondo il pubblico ministero Roberto Terzo sono stati commessi con l’aggravante delle modalità mafiose. I fatti risalgono alal fine del 2009. Protagonista, stando a quanto ricostruito dalla squadra Mobile di Venezia diretta dal vicequestore Marco Odorisio, è Federico Marchesan, 34 anni, funzionario del Banco del Venziano nella filiale di Caorle.
Il bancario, con Gino Crema, imprenditore suo amico e ‘complice’, mette in piedi “un piano per truffare gli istituti bancari portando all’incasso assegni circolari in bianco, proventi di furto ai danni degli istituti di credito, compilati falsamente per importi molto elevati ”. Nel febbraio del 2010 Marchesan e Crema coinvolgono l’imprenditore serbo Alla Vanglel, che mette in contatto veneziani e napoletani. E’ lui a presentargli Antonio Pacifico, napoletano residente ad Eraclea. E parte la catena che arriva ai casalesi. Pacifico, individuato come “la persona giusta” in grado di procurare a Napoli gli assegni, ha un socio, Francesco Verde, originario di Napoli (Sant’Antimo) e coinvolto nel giro. I due conoscono Antonio Buonanno di Casal di Principe “associato all’affare a ragione delle sue conoscenze nell’ambiente ‘casalese’”. Buonanno si sarebbe fatto fare gli assegni da un gruppo criminale capeggiato da Felice Nemolato, di Boscoreale (già nei guai per riciclaggio, ricettazione, falso). E con Nemolato arrivano Nunzio Reccia di San Cipriano d’Aversa, Mauro Verola di Casoria, Luigi Di Mattia di Casandrino. Stando alle indagini il gruppo fornisce 42 titoli contraffatti ai veneziani, per un valore di quasi 4milioni di euro. Compito del Marchesan è trovare i prestanome per gli assegni che dovranno arrivare al conto di una società a lui riconducibile.
C’è chi lo fa del tutto in buona fede, come una coppia di agricoltori. C’è invece chi ci mette lo zampino, come Franco Crosariol, 69enne imprenditore di San Stino di Livenza, e Mauro Bugno di Meolo, che nel 2010 era patron della squadra di calcio AC San Donà. Entrambi avrebbero prestato il nome in cambio di soldi, soldi che Bugno avrebbe usato per il pagamento di stipendi a giocatori e sponsorizzazioni. Il giochino si rompe quando qualche banca si insospettisce e blocca i pagamenti. I napoletani non ci stanno e vogliono comunque la loro fetta di torta. Il 2 marzo gli ex amici Pacifico e Verde, assieme a Verola, Reccia, Alla (il serbo), e ad un loro amico napoletano Luigi Vigliero (indagato per lesioni e tentata estorsione), entrano nell’ufficio di Marchesan a Caorle. C’è anche Crema (indagato). Li immobilizzano, Verola colpisce con il calcio della pistola la faccia di Marchesan. Vogliono un milione di euro. Una telecamera della polizia riprende tutto. “Non mi interessa come, ma tu domani mi fai avere un milione di euro altrimenti vi uccido tutti e due” dice Verola mettendo la pistola in bocca a Merchesan. La sera si aggiunge un’altra persona, il leccese Luigi Paolì di Galatina. Ancora minacce: “Se non mi porti i soldi ti ammazziamo, se scappi ti troviamo, se vai dai carabinieri sappiamo dove abiti tu e la tua famiglia, tu sei da solo, ti freghiamo come e quando vogliamo”, dicono al bancario. Il giorno stesso la polizia fa sparire Marchesan e Crema. Destinazioni protette, nascosti. Ora gli otto napoletani, il leccese e il serbo sono in carcere. Marchesan è in casa sua a Portogruaro, Bugno e Crosariol non possono allontanarsi dal loro comune. Tutti in attesa dell’interrogatorio da parte del gip.