Media & Regime

L’Italia elimina il filesharing

Gli Italiani non possono più andare su www.kickasstorrents.com, il portale di scambi frequentato ogni giorno da tre milioni di utenti, con nove milioni e mezzo di documenti.

L’Italia sta diventando il Paese con più sequestri preventivi (ovvero prima di un processo) di siti web al mondo.

Più di qualsiasi altro paese connesso alla rete internet, ben più di quanto dispongano in proposito il severo Dipartimento di Giustizia Statunitense, e molto più di quanto avvenga in Paesi dalla tradizione giuridica più “incerta” della nostra.

E non sembra, da un po’ di tempo a questa parte, che sia necessario nemmeno il ricorso a un giudice che valuti, nel contraddittorio delle Parti, la bontà di una simile misura.

Insomma l’Italia come il Paradiso (o, forse, il laboratorio) delle inibizioni preventive su internet.

In particolare il Belpaese si sta distinguendo per una furibonda lotta ai programmi di filesharing più diffusi nel globo, e, tra questi, ai sistemi torrent.

Tecnicamente un torrent è un protocollo peer-to-peer che consente di distribuire e condividere i file su internet.

I torrent servono quindi a scambiare contenuti personali fra gli utenti connessi.

Ognuno di questi utenti, infatti, può creare e pubblicare un proprio torrent contenente mp3, film, giochi, programmi o altro genere di file.

E’ di oggi la notizia che il portale www.kickasstorrents.com, ovvero uno dei portali di condivisione di file cd torrent più diffusi al mondo (secondo lo stesso magistrato che ha emanato il Provvedimento di inibizione il portale si collocherebbe al 96° posto tra i siti web più consultati in Italia, e al 321° posto nel mondo) è stato sottoposto, il 17 maggio scorso, ad un ordine di inibizione urgente ad opera della Procura di Cagliari.

Tradotto dal “giuridichese” significa che i provider italiani (che hanno ricevuto l’ordine il 23 maggio) dovranno “sbarrare” in via d’urgenza le autostrade informatiche che consentono ai cittadini Italiani di avere accesso a quel portale, invece di disporre “fisicamente” il sequestro dei server ove risiedono i programmi necessari per accedere al programma di scambio.

Il Capoluogo sardo si sta distinguendo peraltro in questi mesi per il numero e l’estensione di diversi interventi cautelativi sulla Rete, al punto di far ipotizzare a qualcuno la nascita all’interno di quel Tribunale di una sorta di “Procura generale per l’internet”.

Il portale oggetto dell’inibizione, la cui organizzazione rimane ignota agli inquirenti italiani e la cui dislocazione territoriale è stata rintracciata in Paesi quali la Spagna, la Svezia, La Lettonia, la Romania, non ha nulla a che vedere con il territorio Italiano, se non per il numero di soggetti che si connettono al portale, che proverebbe l’accesso di utenti Italiani in misura inferiore solo agli internauti provenienti dagli Stati Uniti e dall’India.

Come ciò abbia a che fare con la splendida Isola mediterranea appare un mistero.

Diversi giuristi cominciano ad interrogarsi sulla compatibilità di questi provvedimenti con la disciplina costituzionale del diritto all’informazione e con i principi del diritto internazionale richiamati dalla Costituzione, secondo i quali tra l’altro “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.

A questo punto appare necessario un intervento della Corte Costituzionale che valga a specificare una volta per tutte se l’Italia ha titolo o meno per privare milioni di propri cittadini dell’accesso alle risorse presenti sul web, prima dell’accertamento definitivo della commissione di un reato compiuto da terzi.