Un investigatore rivela l'esistenza di collegamenti tra il capoluogo ligure e i gruppi lombardi. Un mix tra anarchismo e terrorismo armato, frutto della cosiddetta “seconda posizione” nata sulle ceneri delle vecchie Brigate rosse
L’investigatore si morde le labbra: “Per capire la gambizzazione di Roberto Adinolfi bisogna cercare a Milano”. Poche parole e pochi passi in un luogo indefinito dell’hinterland cittadino. Tanto basta, però, a tracciare la pista. Una delle tante? “Una delle privilegiate”, risponde, sbuffa, poi spiega di un quadro investigativo “fluido” e di alcuni dati che portano a credere come proprio nel capoluogo lombardo ci siano la testa e le braccia dell’attentato all’ad di Ansaldo Nucleare (Genova, 7 maggio 2012). E così sotto la pioggia che schizza i palazzoni di periferia s’accodano parole e concetti: anarchismo e brigatismo armato, un mix nuovo in riva al Naviglio e in tutta Italia, frutto della cosiddetta “seconda posizione” nata sulle ceneri delle vecchie Br. Non più un impianto “solo militare”, ma “una guerra rivoluzionaria di lunga durata”.
Quattro sigarette dopo, lungo i marciapiedi della Comasina, un timore: “Colpiranno ancora”. A Milano? Ipotesi. Il dato certo è, invece, un altro: “Tornano i cognomi sui muri”. Scritte che indicano un obiettivo da colpire. Tra i vari un ispettore della Digos. Capita l’11 aprile scorso davanti al carcere di San Vittore dopo una manifestazione dei no Tav. “Roba del genere non si vedeva da vent’anni”. Un’amara constatazione che aggancia le parole scritte nella lettera di rivendicazione dell’azione genovese. Si legge: “Abbiamo preso le armi con piacere”. Il documento, ritenuto attendibile, è stato firmato dalla Federazione anarchica informale (Fai). Si spara a Genova. Ma si pensa a Milano. Questa la traccia. Sopra quattro nomi che gli investigatori si tengono in tasca. Dall’elenco spuntano ex reduci della Walter Alasia, colonna milanese delle Brigate Rosse (sciolta vent’anni fa). Ma anche anarchici con precedenti per rapina legati al Partito Comunista Politico-Militare (Pcp-M) di Claudio Latino e Alfredo Davanzo. Gli stessi che, finiti in carcere nel 2007, oggi sono protagonisti di un processo d’appello bis dopo che la Cassazione ha ritenuto troppo generica l’accusa di terrorismo.
Insomma, se al quadro mancano i particolari, lo scenario non appare così fumoso. A far da collante la fusione tra il brigatismo e una fetta dell’antagonismo. I cattivi maestri pescano in un bacino che mette assieme l’area anarchica e le anime del movimento libertario. Qui si recluta. E addirittura si tracima. Nel mirino stadi e moschee. L’idea balena nella testa dei leader del Pcp-M. “Mi ricordo uno striscione a favore delle masse arabe, era il marzo 2003, pochi giorni prima avevano ucciso Dax”. L’analisi aggancia il passato. Lo sbirro rimugina per spiegare il presente. Il 16 marzo 2003 viene ucciso Davide Cesare, detto Dax del centro sociale O.r.s.o. Zona Navigli. Via Brioschi: una lite, poi la coltellata alla gola. In quei giorni a Milano tira vento di guerra. Arriva il corteo. E tra le tante sigle compare quello striscione. “Iniziò lì”. In quello stesso anno finisce in carcere Nadia Desdemona Lioce, anima dei Nuclei comunisti com-battenti, la prima posizione delle vecchie Br. Su tutto questo sangue nasce la seconda posizione. E nasce con un obiettivo: infiltrare i collettivi dei centri sociali milanesi. Ci riusciranno? “In parte sì, sfruttando il vuoto politico all’interno del movimento”. Tre i luoghi dove attecchisce la nuova ideologia. Uno in particolare darà fuoco alle polveri dello scontro “verbale” tra chi si oppone alla deriva e chi invece la pretende. “Nel 2009 quel centro sociale sarà sgomberato per bloccare l’infiltrazione”. Ma già nel 2006 a Milano si respira aria di eversione. Inizia a girare un giornale clandestino. Si chiama l’Aurora, come l’incrociatore che nel 1917 annunciò, con i suoi colpi di cannone, la rivoluzione bolscevica. L’ideatore è, secondo i magistrati, Alfredo Davanzo. In totale saranno pubblicati quattro numeri. Obiettivo: “Un lavoro politico – scrive il giudice Guido Salvini – che, inserendosi in situazioni come le lotte sociali in fabbrica e le contestazioni contro il Tav in Valsusa lavori per portare il maggior numero di persone sul terreno rivoluzionario”. Ma non c’è solo questo. Ci sono anche obiettivi da colpire: dalla Confindustria ad ex dirigenti della Breda.
E armarsi per il gruppo non è mai stato un problema. Prima il canale passava attraverso i contatti con i boss di Cosa nostra. “Oggi ci si affida agli zingari”. In cambio? Favoriscono occupazioni abusive. Gente che poi viene utilizzata per i cortei. “In zona Navigli – racconta l’investigatore – c’è una palazzina quasi totalmente occupata da nomadi”. Tutti arrivano da due campi che hanno preso una deriva criminale: quello di via Idro e quello di via Negrotto. Qui furono acquistate, ad esempio, le armi che nel 2007 uccisero Francesco Carvelli giovane boss di Quarto Oggiaro. E Genova? Durante la sua breve vita, l’Aurora, e oggi non pare più un caso, sarà consegnata anche nel capoluogo ligure. Di più: sotto la Lanterna, a partire dal 2008, da Milano arriverà un personaggio vicino a Claudio Latino e già inserito nei collettivi di alcuni centri sociali. Il suo scopo: fare propaganda nelle fabbriche. Un dato noto da mesi alle forze dell’ordine. Genova-Milano, dunque. Questa la rotta per capire. E ora i magistrati dovranno riprendersi i bossoli della Tokarev 7,62 che ha sparato in Liguria e ricostruirne il percorso. “E se quell’arma arrivasse dai canali milanesi?”. L’investigatore riflette ad alta voce. Poi scompare in metropolitana. Dopo tanti metri a piedi e troppe sigarette.