Sotto scacco l'organizzazione internazionale che per anni ha sfruttato lavoratori migranti per la raccolta degli ortaggi sui campi del Salento, reclutandoli direttamente in Africa. 22 gli indagati, 16 in manette. Tra di loro anche numerosi imprenditori
“Ora quelli te li sfianco fino a questa sera…”. Ecco, erano al gusto di schiavitù le angurie che per anni sono arrivate nei grandi centri commerciali della Lombardia e dell’Emilia Romagna. Da un lato gli imprenditori italiani che pretendevano condizioni di lavoro disumane, dall’altro centinaia di disperati africani ‘reclutati’ al loro arrivo in Sicilia. Di mezzo, un sistema gerarchico oleato, fatto di ‘capi cellula’ e ‘capi squadra’, quasi sempre, anche loro, extracomunitari. E’ racchiuso in quella intercettazione telefonica tutto il senso dell’operazione “Sabr“, che nella notte ha portato i carabinieri del Ros di Lecce ad eseguire sedici arresti tra le province di Lecce, Bari, Pisa, Caserta, Reggio Calabria, Palermo, Agrigento, Siracusa e Ragusa. Ventidue in tutto gli indagati. Ad essere stato decapitato è l’intero apparato di caporali che da anni, secondo gli inquirenti, gestisce la raccolta delle angurie a Nardò, il secondo centro più grande della provincia salentina. Una “organizzazione criminale transazionale, costituita da italiani, algerini, tunisini e sudanesi, attiva anche a Rosarno e in altre parti del Sud Italia”. Così la definisce l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Lecce Carlo Cazzella, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, in particolare dei procuratori Cataldo Motta ed Elsa Valeria Mignone. L’operazione scaturisce da una lunga attività di indagine dei Ros, iniziata nel gennaio 2009 e proseguita fino ad ottobre 2011.
La notizia degli arresti era nell’aria da mesi. Troppo clamorosa, durante l’estate scorsa, la lotta dei braccianti di Masseria Boncuri, la baraccopoli che ad ogni giugno prende a ripopolarsi dei migranti che reggono l’inferno dei campi, quello fatto di turni da non meno di 10-12 ore, sotto il sole cocente, pagati al massimo 20-25 euro, sotto la soglia di povertà. Forme di “paraschiavismo“, in grado di reggersi perché hanno sfruttato la condizione di irregolarità dei migranti. Ingressi clandestini in Italia e permessi di soggiorno scaduti o falsi “costringevano i lavoratori stranieri ad accettare qualsiasi tipo di impiego pur di acquisire un minimo reddito per la sopravvivenza“.
Niente è stato mai lasciato al caso e i ruoli, da quello che emerge dagli atti, sono sempre stati ben delineati. I capi d’imputazione, che vanno dall’associazione per delinquere alla riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, alla intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione e falso, comprendono anche la tratta di persone. Ed è questa la chiave di volta per comprendere il “sistema”. E’ sull’altra sponda del Mediterraneo, soprattutto in Tunisia, che iniziava il primo girone infernale. E’ lì che avveniva “il reclutamento di una pluralità indistinta di persone – disperate e bisognose e per ciò stesso psicologicamente vulnerabili – allettate da false ed ingannevoli prospettive di svolgere una regolare attività lavorativa in agricoltura, con paghe dignitose e buone condizioni di vita, adescate con il semplice ma efficace metodo del ‘passa parola’ dai cosiddetti ‘reclutatori‘, che avrebbero poi provveduto ad organizzare veri e propri ‘viaggi della speranza‘ verso la Sicilia e successivamente, attraverso i complici in Italia, gli ‘spostamenti’ massivi degli operai dapprima nell’agro pachinese (Sr) e, in un secondo momento, in quello neretino (Le)”.
E “al fine di assicurarsi l’invio di manodopera”, è proprio a Pachino che, nel 2009, si sarebbe recato colui che è ritenuto il “promotore e organizzatore” del sodalizio, Pantaleo Latino. Il suo nome è tra quello dei sei imprenditori salentini finiti in manette, titolari di aziende agricole “associatisi in una sorta di cartello” criminale. Le indagini hanno dimostrato che, già dal 2008, Latino, “costantemente in contatto” con i caporali, forniva anche i “locali fatiscenti in cui venivano alloggiati gli extracomunitari utilizzati sui campi”. Ironia della sorte, era stato proprio lui, un anno fa, a guidare la protesta dei produttori leccesi contro le importazioni dalla Grecia e dalla Spagna, ciò che avrebbe fatto crollare le vendite al nord e dunque la produzione, scatenando la rivolta dei migranti.
Il fatto che l’ordinanza di custodia cautelare arrivi proprio ora non è casuale. Anche quest’anno Nardò aveva iniziato a preparare la stagione della raccolta. Anche quest’anno si erano già registrati i primi arrivi. Anche quest’anno la storia si sarebbe ripetuta. Ora resta la sfida, difficilissima e tuttora in piedi, di riuscire a far andare avanti quest’economia agricola nel pieno della legalità.