Il Martini è il cocktail simbolo della cultura americana moderna: “Il termine Martini evoca non solo una cocktail, ma anche un’immagine e un’idea. La potenza simbolica del Martini dipende pochissimo, se non per niente, dai suoi ingredienti. Ma dipende dal bicchiere da cocktail conico in cui è tradizionalmente servito, come dipende soprattutto dal nome”.

Non c’è un’unica definizione di Martini, che nasce come variante di cocktail già esistenti. Anzi più precisamente nasce come “short drink” e dolce, dato che i cocktail venivano definiti “early morning drinks” nei primi manuali per “bartender” della seconda metà dell’Ottocento. Il Martini era fatto, oltre che con un Gin dolciastro (Old Tom Gin), anche col Vermut italiano dolce e non con quello secco, perlopiù francese, come si usa oggi. Ad ogni modo, la storia e il fascino del celebre cocktail sono legate anche alle continue variazioni di ingredienti: vedi l’ultimo passaggio dal Gin alla Vodka negli Cinquanta del secolo scorso.

Una delle teorie più menzionate attribuisce la paternità del Martini all’americano Jerry Thomas, padre putativo di tutti i bartender, mentre lavorava all’Occidental Hotel di SanFrancisco, ossia fra il 1863 e il 1864: pare che Thomas fece il cocktail richiamandosi alla cittadina di Martinez in California o a uno dei suoi abitanti. Ovviamente gli stessi abitanti rivendicano la paternità del cocktail e a Martinez è presente una targa con scritto: “Nel 1874 Julio Richelieu, barista, ha servito il primo Martini a un minatore che, entrato nel suo saloon, aveva chiesto qualcosa di speciale. Gli venne servito un Martinez Special. Dopo tre o quattro bicchieri la ‘z’ si era persa per strada. Il drink era fatto con 2/3 di Gin, 1/3 di Vermouth, una spruzzata di bitter all’arancia sul ghiaccio tritato, e servito con un’oliva”.

Alquanto stiracchiate sono le teorie che fanno risalire le origini del Martini in Francia, ascrivendone l’invenzione a un musicista tedesco. Ma anche quelle che fanno risalire le origini in Italia o in Inghilterra. Infondata è l’opinione di chi attribuisce la paternità del cocktail a un italiano, Martini, nativo di Arma di Taggia (provincia di Imperia), presso l’emblematico Hotel Knickerbocker Hotel di New York nel primo decennio del XX secolo: infatti il cocktail è già citato prima di allora in numerose pubblicazioni fin dal 1884. Eppure è possibile che questo Martini di Arma di Taggia sia stato fra i primi a usare il Vermut secco (facendo dunque un Dry Martini) e bianco in luogo del Vermut dolce o perfino rosso. E ciò, considerando che il periodo coincide con quello in cui i cocktail passano, nei grandi hotel delle città più importanti, da “early morning” drink ad aperitivi serviti dalle 5 del pomeriggio in luogo del tè: si pensi che inizialmente alcuni cocktail venivano scecherati in teiere. Dunque prima della cena si voleva una bevanda che stimolasse il palato non che lo saturasse come un dessert. Tanto che nei primi decenni del XX secolo in America triplicarono le importazioni di Vermut secco. D’altra parte, anche a causa della fillossera che devastò le vigne di tutta Europa, diminuirono le percentuali di Vermut (ma anche di Cognac e Brandy, ossia prodotti a base di vino) nei cocktail. Lo stesso Gin era tornato di moda secco, solo qualche decennio addietro, col nome di London Gin o London Dry Gin, (cioè l’ingrediente peculiare del cocktail Martini), grazie all’invenzione della colonna di distillazione. Indubbiamente il Martini, ma anche l’iconico bicchiere, si è affermato ai tempi del Proibizionismo (parimenti alla produzione di Gin in Usa) come cocktail della nuova America, una specie di simbolo liberatorio della nuova cultura urbana. Una nuova America in cui uomini e donne, anche di razze diverse, bevevano per la prima volta assieme nei saloon fino ad allora riservati solo agli uomini.

Dopo mesi di “indagine” con alcuni dei migliori bartender di tre continenti vi proponiamo la ricetta del Martini perfetto, che ovviamente come scrive Umbero Eco “è quello che ti fai da te”. Per quanto “il Martini è materia eminentemente artistico manipolativa, e alla fine sei tu che verrai giudicato (anche da te stesso)… il momento magico del Martini è quello in cui lo si fa, non quello in cui lo si consuma”.

Ingredienti:

London Dry Gin (oggi è categoria legislativa): Beefeater, Tanqueray, Bombay e il Martin Miller’s Westbourne Strength. Fuori della categori si usa anche il Plymouth (fin dall’inizio del XX secolo) o lo scozzese Hendrick’s

Vermut: Noilly Prat o l’Extra Dry della Martini&Rossi

Ghiaccio a cubetti (meglio se da acqua non troppo calcarea come quella delle grandi città). Non va bene il ghiaccio a scaglie e nemmeno quello tritato.

Scorza di limone o una sola oliva (che si afferma come decorazione, e non per essere mangiata, solo dagli anni Trenta del XX secolo)

Preparazione:

Mettere il ghiaccio in un mixing glass (non uno shaker), riempendolo per ¾, fin quando si formi una patina sulle pareti del bicchiere, ad indicare la presa di temperatura. Far rotare un poco il ghiaccio col cucchiaio lungo e poi far colare l’acqua scioltasi sul fondo. È tempo di Vermut (che si può tenere in frigo) e poi di Gin (che è opportuno tenere in freezer dato che non ghiaccia), versati nel mixing glass in proporzione classica di 8/1: 8 parti di Gin e 1 di Vermut. Gli amanti dell’ultra dry arrivano fino a 15/1 come Hemingway. Mescolare delicatamente ma velocemente in senso orario, e dal basso verso l’alto per sollevare il ghiaccio, per una ventina di secondi o una dozzina di colpi di “stirrer”, ossia il cucchiaio lungo. La miscela dovrà essere raffreddata, idealmente fino a 3 gradi centigradi, ma non troppo diluita: l’acqua discioltasi nella mescola deve arrivare al massimo al 20% del liquido totale. Quindi versare il liquido, filtrandolo con lo “strainer” o passino, nella coppetta Martini presa dal freezer o parimenti raffreddata con ghiaccio.

Guarnire con una oliva verde o con una scorza di limone: l’oliva, dolce e non piccola, va infilzata con uno stecchino e immersa nel cocktail. Metre il lemon twist è un pezzo di scorza di limone che si taglia a striscia lunga e sottile, evitando di prendere anche la parte bianca o albedo. Si strizza delicatamente sulla superficie del cocktail, spruzzandola di olio essenziale, prima di immergere la scorza del liquido magari dopo averla arrotolata a spirale.

Il Martini perfetto è freddo, secco, chiaro puro.

Migliori indirizzi in Italia:

Notthingam Forest– Milano – (Dario Comini)

Bar Hotel Quisisana – Capri- (Fabio Bacchi)

Hotel de Russie- Bar Stravinskij– Roma (Massimo D’Addezio)

The Jerry Thomas Project – Roma (Parlapiano, Artusio, Leuci, Procoli)

Bar – The Westin Europa&Regina- Venezia (Giorgio Fadda)

Cafè Noir – Reggio Calabria (Giuseppe Laganà)

Un posto particolare nella storia del Martini lo hanno anche Salvatore Calabrese, Peter Dorelli e Giuliano Morandin che hanno rilanciato tale cocktail a Londra e animato la scena dei bartender degli ultimi decenni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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