“Subito hanno detto che il mostro si trovava qui, a Sant’Elia. Quando dovevano ascoltare quel poveraccio, sono venuti a prelevarlo con elicotteri e pattuglie a non finire. Bastavano due agenti in borghese. Ci sentiamo offesi”. Non hanno peli sulla lingua le donne sull’uscio del negozio della frutta. Non hanno neppure pazienza. “Che lo prendessero sì, senza alimentare, però, i sospetti su di noi”. Sant’Elia, uno dei quartieri più difficili di Brindisi, alla periferia della città. Erbacce al posto delle aiuole, lunghe file di palazzoni dai muri scorticati, un passato da far west del contrabbando. I residenti si sentono additati da quando, lunedì pomeriggio, C.S. è stato condotto in procura per essere ascoltato e, per un giorno, è diventato il killer della strage all’istituto Morvillo Falcone.

In realtà, non è neppure indagato. Ma la sua abitazione presa d’assalto da persone con voglia di vendetta è una scena che qui non dimenticheranno facilmente. E’ la cappa del sospetto, più della paura, a schiacciare adesso gli umori della città. In molti sono sicuri che l’attentatore della scuola di Melissa Bassi venga da fuori, non può essere uno di loro. La diffusione dei fotogrammi del video che è nelle mani degli inquirenti, tuttavia, sta foraggiando un clima da caccia alle streghe. E le conseguenze sono profondamente rischiose. “Che lo pubblicassero per intero, che lo facessero vedere in volto questo criminale, così sappiamo dove andare a prenderlo”. Dietro il suo bancone, il barista della zona è certo di quello che dice. Ha una figlia di quattordici anni, racconta, e da genitore non può convivere con l’incertezza di non vederla ritornare “per mano di un pazzo, forse uno delle Brigate Rosse“. Qui ognuno ha la sua pista investigativa. Tutti, però, si aspettavano che il caso venisse risolto nel giro di 24, massimo 48 ore. Anche per questo, Brindisi è ancora attonita, confusa, impaurita. Spaesata. E’ come se avesse ancora nelle orecchie quel tonfo sordo dell’esplosione di sabato mattina. Un momento eterno, un rumore senza fine. E l’attesa corrode i nervi. “Quelli hanno già detto che, se lo trovano prima loro, se lo mangiano a morsi. Ma davvero nelle loro mani stiamo?”.

“Quelli” sono quelli della mala locale, del clan legato ai fratelli Brandi. E’ direttamente dal carcere che avrebbero fatto sapere di aver sguinzagliato i propri uomini per vendicare l’attentato. Un altro passo falso, un altro nome che incautamente viene fuori e potrebbe verificarsi l’irreparabile. Sta accadendo, infatti, ciò che il procuratore della Dda di Lecce, Cataldo Motta, temeva: con queste dichiarazioni, la Sacra Corona Unita finirà con l’alimentare il proprio consenso sociale, sostituendosi, nella percezione dei cittadini, allo Stato come organo di giustizia sommaria. La rabbia che ancora vive sottopelle in città, infatti, sta tornando a far rimarcare le differenze tra ieri e oggi. E quanto accaduto sabato mattina è diventato il parametro per giudicare tutto il presente e il passato di Brindisi.

“Paradossalmente, ci si sentiva più sicuri al culmine della guerra di mafia, tra il 1992 e il 1993. Trovavi il morto per terra, ma sapevi che la lotta era tra di loro. Ora, invece, il bersaglio può essere chiunque”. Ilario D’Amato è uno dei sindacalisti della Ugl. La sede del sindacato è a pochi metri dal Morvillo. E’ in fila, assieme ai colleghi, nella fiaccolata organizzata, nel pomeriggio di mercoledì, in memoria di Melissa. Ci sono ragazzi. Ci sono soprattutto genitori. “Partecipiamo anche per sentirci più sereni”, dice uno di loro. Il rito collettivo è diventato un modo per esorcizzare la paura e i sospetti, per risentirsi comunità. “La rincorsa al mostro sta diventando deleteria – continua un operatore ecologico – Hai il terrore di uscire di casa, di trovartelo accanto e non sapere. Ma hai anche l’angoscia che si indichi di nuovo la persona sbagliata e poi amen. Stavolta, ‘quelli’ lo farebbero fuori”. Non si pronuncia quasi mai il loro nome, ma “quelli” sono sempre loro, i boss della Scu che hanno parlato e che ogni tanto resuscitano da dietro le sbarre, irrompendo nella vita dei brindisini come in un déjà vu.

“Non siamo terra di mafia, la primavera da noi è arrivata parecchi anni fa ed è costata la vita a due finanzieri impiegati nella lotta al contrabbando – rimarca Riccardo Carone, uno dei papà con figli al seguito presenti al corteo – Certo, non ci sentivamo tranquilli neppure prima. Più volte ci siamo svegliati di notte per il boato delle saracinesche che il racket ha fatto saltare in aria. Ma lo stillicidio, adesso, sta nel vedere gli inquirenti brancolare nel buio”. E’ nella confusione, nel ricorrersi esasperato di notizie e di smentite, che sale la tensione. Una parte di Brindisi convive fiduciosa con i duecento uomini inviati da Roma per risalire all’attentatore. Ma ogni pomeriggio c’è qualcuno che torna al chiosco dei panini, dietro al quale sarebbe stato azionato il telecomando per far saltare in aria il gruppo di ragazze in arrivo da Mesagne. In attesa di risposte, infatti, ognuno le cerca da sé. In attesa di giustizia, però, ognuno rischia di cercare anche un capro espiatorio.

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