La Commissione Tributaria Regionale di Roma ha condannato il Gruppo Editoriale L’Espresso ad un multa di circa 455 miliardi di lire (circa 225 milioni di euro) per fatti risalenti al 1991. E’ stata la stessa società a renderlo noto precisando che la Commissione si è pronunciata sugli accertamenti emessi dalla Agenzia delle Entrate dell’epoca. Il gruppo farà ricorso in Cassazione. In particolare, si legge nella nota, la Commissione Tributaria Regionale ha dichiarato legittima la ripresa a tassazione di 440.824.125.000 lire per plusvalenze, ad avviso della Commissione, realizzate e non dichiarate e di 13.972.000.000 lire per il recupero di costi assunti come indeducibili afferenti a dividendi e credito di imposta, con applicazione delle sanzioni ai minimi di legge e condanna alle spese di giudizio.
Il Gruppo Espresso rileva che i propri ricorsi contro questi accertamenti erano stati accolti in due precedenti gradi di giudizio e che i fatti contestati erano stati dichiarati a suo tempo insussistenti in sede penale. Il Gruppo, anche alla luce delle motivazioni pubblicate, ritiene l’odierna sentenza manifestamente infondata oltreché palesemente illegittima sotto numerosi aspetti di rito e di merito. Gruppo Espresso confida che tale sentenza sarà’ annullata e pertanto ha dato immediato mandato ai propri legali per il ricorso in Cassazione. Per l’avvocato Livia Salvini: “La sentenza in esame si iscrive quindi nel filone giurisprudenziale – continua il legale – che rivendica all’Agenzia delle Entrate e ai giudici il potere di sindacare le scelte economiche e di strategia societaria dei contribuenti. Potere che lo stesso legislatore sta prevedendo di arginare nell’ambito della delega sulla riforma fiscale, prendendo atto della abnormità di pronunce che, anche sulla base di norme e di orientamenti giurisprudenziali neanche immaginabili quando le operazioni furono progettate e poste in essere, pretendono di disconoscerne i pretesi vantaggi fiscali”.
“Tanto appare evidente dall’esame critico, fatto nella sentenza, delle valide ragioni economiche addotte dal Gruppo a sostegno dell’operazione; ragioni che, sebbene riconosciute vere, non sono state valutate a favore della Società in considerazione del rilevante vantaggio fiscale conseguito. Né è stato adeguatamente considerato, ad avviso della difesa, il fatto che le operazioni contestate sono state programmate nel 1989, prima dunque che fosse emanata la prima norma antielusiva applicata dalla Commissione, risalente al 1990. Già solo da tale ultima circostanza emerge che la progettazione e la realizzazione dell’operazione di quotazione in borsa, comunque sorretta da valide ragioni economiche e finanziarie, era stata fatta nel pieno rispetto delle norme vigenti. Di ciò era del resto pienamente convinta anche l’autorità giudiziaria penale, che decise il non luogo a procedere poiché il fatto non sussiste. Alla luce di ciò sembra difficilmente giustificabile sia l’applicazione delle sanzioni amministrative, che è stata invece confermata dalla Commissione, sia l’assolutamente inusuale condanna alle spese processuali nella misura di 500.000 euro, nonostante che l’Agenzia delle Entrate sia risultata soccombente in giudizio su altri importanti punti riguardanti sia l’acquisto delle partecipazioni La Repubblica, sia la pretesa elusività di un’operazione di usufrutto azionario. La odierna sentenza della Commissione Regionale appare dunque già a prima vista illegittima sotto numerosi aspetti di rito e di merito, che il Gruppo intende far valere nelle opportune sedi giudiziarie”.