Mario Draghi affronta tutti i temi economici “caldi” sia per l’Italia che per l’Unione Europea. Innanzitutto frena sui cosiddetti Eurobond, la loro emissione “non avrebbe senso fino a quando l’Eurozona non diventerà in qualche modo una vera fiscal union, una unione di bilanci”. Per quanto riguarda l’Europa, il presidente della Bce difende il suo operato: “Le misure straordinarie varate dalla Bce ci hanno fatto guadagnare tempo, preservando la funzionalità della politica monetaria, impedendo un collasso dei mercati bancari che avrebbe avuto sui livelli produttivi e occupazionali effetti di gran lunga più pesanti di quelli, pur gravi che si sono registrati”.
Inoltre continua l’economista le operazioni straordinarie di rifinanziamento della Bce hanno “arrestato in Italia ma anche nella stragrande maggioranza dei paesi dell’euro, la contrazione dei prestiti in dicembre”. Il credito continua l’ex governatore della Banca d’Italia, è uno dei nodi principali che bisogna affrontare: “Il perdurante anemico dei prestiti riflette la debolezza della domanda. Si è evitato un ben più severo rischio di restrizione creditizia che avrebbe conseguenze sulla crescita e sulla stabilità ben più gravi di quelle che osserviamo attualmente”. Agli istituti di credito Draghi ricorda: “E’ vitale per la crescita e l’occupazione che le banche tornino a porsi in condizione di rifinanziare l’economia”.
Poi l’ex presidente del Financial Stability Board dà la sua ricetta per risollevare le sorti dell’Ue: “Siamo ormai giunti a un punto in cui il processo di integrazione europea per sopravvivere ha bisogno di un coraggioso salto di immaginazione politica. E in questo senso che ho richiamato la necessità di un growth compact, un patto per la crescita, accanto al ben noto fiscal compact”. Sulla’andamento dei prezzi dall’Eurotower azzardano una previsione: ”L’inflazione tornerà sotto il 2% afine anno o agli inizi del prossimo, per l’istituto centrale ora l’obiettivo è rispettato e il livello del 2,6% registrato è dovuto a fattori come il prezzo del petrolio e all’aumento del prelievo fiscale nei paesi dell’euro”.
Infine Draghi chiude le sue riflessioni comunitarie esortando i governi a pensare a lungo termine: “Occorre che i governi dei paesi membri dell’euro definiscano in modo congiunto e irreversibile la loro visione di quale sarà la costruzione politica ed economica che sorregge la moneta unica e quali debbano essere le condizioni che vanno soddisfatte perchè si possa insieme arrivare a tale meta. Questa è la risposta più efficace alla domanda che si leva da ogni parte: cosa sarà dell’euro tra dieci anni?”
Sulla situazione italiana il presidente dell’Eurotower parte dai giovani: “Non si può accettare l’idea che un’intera generazione di giovani debba considerare di essere nata in anni sbagliati e debba subire come fatto ineluttabile il suo stato di precarietà occupazionale”. Nella Ue, ha ricordato Draghi, “tra il 2007 e il 2011 il tasso di disoccupazione è aumentato di 5,8 punti percentuali nella classe di età 15-24, di 3,5 punti nella classe 25-34 e di 1,8 punti nella classe 35-64”. Il presidente della Bce ha citato “l’eccezione significativa della Germania dove “il tasso di disoccupazione tra i giovani tra i 15 e 24 anni nel primo trimestre del 2012 era dell’8 per cento; in Italia – ha rilevato – era del 34,2 per cento, in Spagna del 50,7 per cento e nell’area dell’euro in media del 21,9 per cento”.
Il problema non è solo dei giovani sottolinea Draghi: “La iniqua distribuzione del peso della flessibilità solo sui giovani, una eterna flessibilità senza speranza di stabilizzazione, porta tra l’altro le imprese a non investire nei giovani il cui capitale umano spesso si deteriora in impieghi di scarso valore aggiunto”. Poi Draghi continua: “Il sottoutilizzo delle risorse dei giovani riduce in vari modi la crescita abbassa la probabilità di nascita di nuove imprese, mediamente più innovative delle altre, determina a lungo andare il decadimento del capitale umano, frenando l’assimilazione del progresso tecniche l’efficienza dei processi di produzione. Oltre a ferire l’equità, costituisce uno spreco che non possiamo permetterci”.
L’equità è la parola su cui lavorare spiega l’economista: “Crescita ed equità sono strettamente connesse. La recente storia italiana non manca di esempi in questo senso”. Però le finanze pubbliche devono essere in ordine: “Superata l’emergenza della crisi si deve attuare una diminuzione della spesa corrente e del prelievo fiscale. Non può esserci crescita sostenibile senza finanze pubbliche in ordine. A questo proposito ho rilevato in altre occasioni lo straordinario progresso compiuto da tutti i governi dell’euro sul fronte del consolidamento fiscale”.
Sulle riforme italiane Draghi ragiona: ”La debolezza degli ammortizzatori sociali si accompagna con una protezione relativamente elevata del posto di lavoro. Le riforme del mercato del lavoro che sappiano coniugare flessibilità e mobilità, con l’equità e con l’inclusione sociale sono essenziali. Il completamento del mercato unico, il rafforzamento della concorrenza – ha osservato Draghi – sono cruciali per la crescita, per l’aumento dell’occupazione”. In Italia a fronte di un’incidenza della spesa sociale sul Pil in linea con quella Ue, quella di sostegno ai disoccupati alle famiglie, in particolare quelle a rischio povertà ricorda Draghi “è su livelli pari a meno della metà rispetto a quelli europei, mentre la spesa pensionistica è nettamente superiore”. In Italia – ha sottolineato ancora Draghi: “La recente riforma pensionistica che sancisce il passaggio integrale al contributivo completa la necessaria correzione della dinamica della spesa previdenziale avviata anni fa. Il caso tedesco, ha osservato inoltre dimostra assai bene che estesi ed efficaci sistemi di welfare possono essere resi più efficienti senza compromettere le finalità sociali”.