“L’Italia vede favorevolmente, quando i tempi saranno maturi, non fra moltissimo, gli eurobond e ogni cosa che rafforzi la preparazione per investimenti proficui”. Lo ha dichiarato oggi il presidente del Consiglio italiano Mario Monti, incontrando il premier ceco. Parole che pesano e che, a questo punto, evidenziano una netta presa di posizione da parte dell’Italia a fianco dell’asse franco-spagnolo in opposizione alla linea della Germania che da sempre giudica lo strumento inadeguato.
In attesa dell’ipotetico vertice a quattro, che è ancora da confermare, sale quindi la tensione sul tema dei titoli a emissione europea che avevano dominato il vertice di ieri. Berlino, ovviamente, non intende farsi carico dell’iniziativa dal momento che queste emissioni implicherebbero tassi di mercato superiori a quelli pagati attualmente dalla Germania, che sono ai minimi storici. Il rendimento del bund decennale viaggia attorno all’1,4%, quelli dei finanziamenti a medio termine sono ormai trascurabili. Nei giorni scorsi la Germania ha collocato titoli biennali a zero coupon ad un tasso dello 0,07% offrendo in pratica la possibilità di prestare soldi gratis allo Stato.Gli investitori sono accorsi comunque dimostrando così di essere disposti a mettere i loro soldi nella cassetta di sicurezza di Berlino piuttosto che affidarli alla volatilità del mercato. Basta questo esempio, insomma, per capire che il clima attuale non è certo favorevole a un ripensamento tedesco.
Eppure, pensano in molti, questo passo indietro sarebbe davvero necessario visto che i costi di rifinanziamento delle casse pubbliche iniziano a pesare in modo evidente sulla stabilità delle periferie. Ieri il premier spagnolo Mariano Rajoy ha definitivamente rotto gli indugi. “La Spagna – ha dichiarato – non può sostenere per molto tempo questi rendimenti sul debito. L’Europa deve fare qualcosa al più presto”. A che cosa si riferiva? A qualsiasi cosa in grado di restituire un po’ di calma in quel di Madrid, evidentemente, vale a dire in primis gli eurobond. Ma anche probabilmente ad altre soluzioni, per così dire indirette, già sperimentate nel passato: le grandi iniezioni di liquidità della Banca centrale europea.
Sull’argomento ieri si era già espresso proprio al termine del Consiglio Ue informale il presidente della Bce Mario Draghi che ha partecipato ai lavori. “L’emissione di eurobond non avrebbe senso fino a quando l’Eurozona non diventerà in qualche modo una vera ‘fiscal union’, unione di bilanci – ha argomentato il numero uno della Banca centrale europea – . Gli eurobond hanno senso se c’è un’unione di bilanci. altrimenti non hanno senso”.
“Per la frustrazione del suo presidente Mario Draghi, ancora una volta la Bce è vista come il possibile salvatore dell’unione monetaria” ha scritto invece ieri il Financial Times. “Se un’uscita della Grecia da Eurolandia minacciasse di causare una fuga di liquidità dalle banche del Continente, la Bce potrebbe riproporre rapidamente le sue offerte di liquidità a tre anni”. Il messaggio è chiarissimo: se si vogliono rivitalizzare i mercati è necessario inondare nuovamente di liquidità le banche confidando sul fatto che parte di questo denaro finisca per essere investito sul fronte obbligazionario e su quello azionario restituendo un po’ di energia alle borse e un po’ di ossigeno alle finanze pubbliche. Il sistema ha dimostrato di poter funzionare, e per questo oggi viene invocata da più parti una sua riproposizione. Ma lo stesso meccanismo ha anche dimostrato di avere un effetto temporaneo, il che, a conti fatti costituisce il suo più grande limite.
Tra l’inizio di gennaio e la metà di marzo, con la liquidità Bce rimessa in circolo dalle banche, la borsa di Londra ha guadagnato il 6,7%, Milano l’11,7, Parigi quasi il 13, Francoforte addirittura il 20%. Sembrava l’inizio della ripresa definitiva, ma l’inversione di tendenza era dietro l’angolo. Oggi l’indice Ftse Mib viaggia attorno ai 13 mila punti, il livello più basso dell’anno. Il differenziale di rendimento tra Btp e Bund a dieci anni è tornato stabilmente sopra quota 400. Due le cause del trend negativo: in primo luogo i guai della Spagna che, non ha caso, proprio a marzo aveva rivisto al rialzo le prospettive del suo deficit; in secondo luogo l’esito inatteso delle elezioni greche con conseguente crisi di governo e ridiscussione del patto di austerity. La lezione è quindi duplice: primo, i maxi prestiti della Bce possono inflazionare il mercato, ma il loro effetto non è comunque dirompente; secondo, se persistono i problemi e con essi la mancanza di soluzioni condivise a presso la Ue, l’efficacia della flebo di liquidità viene vanificata in uno lasso di tempo piuttosto breve. Per questo una nuova una nuova iniezione di denaro da parte di Eurotower è destinata a funzionare, ma solo a breve termine. Per questo la sostanziale indecisione emersa nel vertice di ieri appare ancora più preoccupante.
Ieri, di fronte all’assenza di proposte di soluzione alla crisi greca, il premier britannico David Cameron non ha nascosto il suo disappunto. Berlino continua a sostenere che l’Ue è in grado di assorbire l’addio di Atene ma ha accuratamente evitato di spiegare come. E il fatto stesso che siano i singoli governi e le singole banche centrali a studiare i loro piani di risposta al terremoto ellenico, senza che a nessuno venga in mente di promuovere una comune strategia europea, costituisce chiaramente un assurdo in partenza. Il ministro degli esteri irlandese Eamon Gilmore ha fatto sapere questa mattina che il suo Paese non ha un piano per fronteggiare le conseguenze di un’uscita della Grecia dalla moneta unica.
L’Italia, a quanto pare sta pensando a una strategia d’emergenza. Germania e Finlandia ci stanno lavorando da tempo. Ieri, il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy ha ribadito la volontà del Continente di tenersi stretta la Grecia nell’eurozona, a patto però che Atene rispetti gli accordi. Più che una proposta di soluzione, è sembrata un’enunciazione stessa del problema.
Economia & Lobby
Eurobond, Monti dice sì e rompe con la Germania. “Asse” con Francia e Spagna
Titoli europei, l’Italia li vede "favorevolmente" e "non fra moltissimo", afferma il premier. A Berlino non convengono perché i tassi d'interessi tedeschi sono già a livello minimo. Ma per altri Stati i costi del debito pubblico stanno diventando insostenibili
“L’Italia vede favorevolmente, quando i tempi saranno maturi, non fra moltissimo, gli eurobond e ogni cosa che rafforzi la preparazione per investimenti proficui”. Lo ha dichiarato oggi il presidente del Consiglio italiano Mario Monti, incontrando il premier ceco. Parole che pesano e che, a questo punto, evidenziano una netta presa di posizione da parte dell’Italia a fianco dell’asse franco-spagnolo in opposizione alla linea della Germania che da sempre giudica lo strumento inadeguato.
In attesa dell’ipotetico vertice a quattro, che è ancora da confermare, sale quindi la tensione sul tema dei titoli a emissione europea che avevano dominato il vertice di ieri. Berlino, ovviamente, non intende farsi carico dell’iniziativa dal momento che queste emissioni implicherebbero tassi di mercato superiori a quelli pagati attualmente dalla Germania, che sono ai minimi storici. Il rendimento del bund decennale viaggia attorno all’1,4%, quelli dei finanziamenti a medio termine sono ormai trascurabili. Nei giorni scorsi la Germania ha collocato titoli biennali a zero coupon ad un tasso dello 0,07% offrendo in pratica la possibilità di prestare soldi gratis allo Stato.Gli investitori sono accorsi comunque dimostrando così di essere disposti a mettere i loro soldi nella cassetta di sicurezza di Berlino piuttosto che affidarli alla volatilità del mercato. Basta questo esempio, insomma, per capire che il clima attuale non è certo favorevole a un ripensamento tedesco.
Eppure, pensano in molti, questo passo indietro sarebbe davvero necessario visto che i costi di rifinanziamento delle casse pubbliche iniziano a pesare in modo evidente sulla stabilità delle periferie. Ieri il premier spagnolo Mariano Rajoy ha definitivamente rotto gli indugi. “La Spagna – ha dichiarato – non può sostenere per molto tempo questi rendimenti sul debito. L’Europa deve fare qualcosa al più presto”. A che cosa si riferiva? A qualsiasi cosa in grado di restituire un po’ di calma in quel di Madrid, evidentemente, vale a dire in primis gli eurobond. Ma anche probabilmente ad altre soluzioni, per così dire indirette, già sperimentate nel passato: le grandi iniezioni di liquidità della Banca centrale europea.
Sull’argomento ieri si era già espresso proprio al termine del Consiglio Ue informale il presidente della Bce Mario Draghi che ha partecipato ai lavori. “L’emissione di eurobond non avrebbe senso fino a quando l’Eurozona non diventerà in qualche modo una vera ‘fiscal union’, unione di bilanci – ha argomentato il numero uno della Banca centrale europea – . Gli eurobond hanno senso se c’è un’unione di bilanci. altrimenti non hanno senso”.
“Per la frustrazione del suo presidente Mario Draghi, ancora una volta la Bce è vista come il possibile salvatore dell’unione monetaria” ha scritto invece ieri il Financial Times. “Se un’uscita della Grecia da Eurolandia minacciasse di causare una fuga di liquidità dalle banche del Continente, la Bce potrebbe riproporre rapidamente le sue offerte di liquidità a tre anni”. Il messaggio è chiarissimo: se si vogliono rivitalizzare i mercati è necessario inondare nuovamente di liquidità le banche confidando sul fatto che parte di questo denaro finisca per essere investito sul fronte obbligazionario e su quello azionario restituendo un po’ di energia alle borse e un po’ di ossigeno alle finanze pubbliche. Il sistema ha dimostrato di poter funzionare, e per questo oggi viene invocata da più parti una sua riproposizione. Ma lo stesso meccanismo ha anche dimostrato di avere un effetto temporaneo, il che, a conti fatti costituisce il suo più grande limite.
Tra l’inizio di gennaio e la metà di marzo, con la liquidità Bce rimessa in circolo dalle banche, la borsa di Londra ha guadagnato il 6,7%, Milano l’11,7, Parigi quasi il 13, Francoforte addirittura il 20%. Sembrava l’inizio della ripresa definitiva, ma l’inversione di tendenza era dietro l’angolo. Oggi l’indice Ftse Mib viaggia attorno ai 13 mila punti, il livello più basso dell’anno. Il differenziale di rendimento tra Btp e Bund a dieci anni è tornato stabilmente sopra quota 400. Due le cause del trend negativo: in primo luogo i guai della Spagna che, non ha caso, proprio a marzo aveva rivisto al rialzo le prospettive del suo deficit; in secondo luogo l’esito inatteso delle elezioni greche con conseguente crisi di governo e ridiscussione del patto di austerity. La lezione è quindi duplice: primo, i maxi prestiti della Bce possono inflazionare il mercato, ma il loro effetto non è comunque dirompente; secondo, se persistono i problemi e con essi la mancanza di soluzioni condivise a presso la Ue, l’efficacia della flebo di liquidità viene vanificata in uno lasso di tempo piuttosto breve. Per questo una nuova una nuova iniezione di denaro da parte di Eurotower è destinata a funzionare, ma solo a breve termine. Per questo la sostanziale indecisione emersa nel vertice di ieri appare ancora più preoccupante.
Ieri, di fronte all’assenza di proposte di soluzione alla crisi greca, il premier britannico David Cameron non ha nascosto il suo disappunto. Berlino continua a sostenere che l’Ue è in grado di assorbire l’addio di Atene ma ha accuratamente evitato di spiegare come. E il fatto stesso che siano i singoli governi e le singole banche centrali a studiare i loro piani di risposta al terremoto ellenico, senza che a nessuno venga in mente di promuovere una comune strategia europea, costituisce chiaramente un assurdo in partenza. Il ministro degli esteri irlandese Eamon Gilmore ha fatto sapere questa mattina che il suo Paese non ha un piano per fronteggiare le conseguenze di un’uscita della Grecia dalla moneta unica.
L’Italia, a quanto pare sta pensando a una strategia d’emergenza. Germania e Finlandia ci stanno lavorando da tempo. Ieri, il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy ha ribadito la volontà del Continente di tenersi stretta la Grecia nell’eurozona, a patto però che Atene rispetti gli accordi. Più che una proposta di soluzione, è sembrata un’enunciazione stessa del problema.
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Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Su dazi, Ucraina, Medio Oriente la linea è la stessa e resta condivisa. Mentre sul ReArm, il Pd ha dovuto trovare una sintesi, raggiunta in una lunghissima mediazione iniziata ieri nel primo pomeriggio e andata avanti fino a questa mattina. Da una parte la linea dura della segretaria Elly Schlein e della maggioranza dem. Dall'altra quella più 'aperturista' sul piano Von der Leyen della minoranza. Il punto 8 della risoluzione è quello in cui si è trovato l'equilibrio tra le anime dem. Una mediazione che fa dire ad Alessandro Alfieri, coordinatore della minoranza, di essere "soddisfatto" mentre arriva a Montecitorio per la riunione congiunta dei gruppi.
Da una parte, infatti, c'è la richiesta di una "radicale revisione" del ReArm, fronte dal quale Schlein non si è mossa. "Il piano ReArmEu, proposto dalla Presidente della Commissione europea Von der Leyen, va nella direzione di favorire soprattutto il riarmo dei 27 Stati membri e va radicalmente cambiato, poiché così come presentato non risponde all’esigenza indifferibile di costruire una vera difesa comune", si legge nelle premesse.
Dall'altra, c'è un giudizio positivo sul Libro bianco della difesa europea, il testo sul cui voto i dem si sono divisi in Europa tra le astensioni della maggioranza e il sì dell'area riformista. Nelle premesse si argomenta: "All’Unione europea serve la difesa comune e non la corsa al riarmo dei singoli Stati. La Commissione europea sta preparando il Libro bianco sul futuro della difesa europea che rappresenta l’avvio di un percorso di discussione per la costruzione di una difesa comune".
Quindi il punto 8 della risoluzione in cui il Pd chiede al governo di "promuovere, nel corso del negoziato che si aprirà dopo la presentazione del Libro bianco sulla difesa europea e i suoi strumenti, tutti gli elementi che puntano a una governance democratica chiara del settore, agli investimenti comuni necessari per realizzare l’autonomia strategica e colmare i deficit alla sicurezza europea, al coordinamento e all’integrazione della capacità industriali europee e dei comandi militari, all’interoperabilità dei sistemi di difesa verso un esercito comune europeo".
Ed insieme di "promuovere, pertanto, una radicale revisione del piano di riarmo proposto dalla Presidente Von der Leyen, sulla base delle critiche e delle proposte avanzate in premessa, al fine di assicurare investimenti comuni effettivi non a detrimento delle priorità sociali di sviluppo e coesione, e di condizionare tutte le spese e gli strumenti europei alla pianificazione, lo sviluppo, l’acquisizione e la gestione di capacità comuni per realizzare un’unione della difesa".
Londra, 18 mar. (Adnkronos) - Re Carlo e la regina Camilla festeggiano quest'anno 20 anni di matrimonio - il 9 aprile, mentre saranno in Italia - ma, nonostante questo, sembra che trascorrano "molto tempo separati". Anzi, forse il segreto della loro felicità come coppia è dovuto proprio al fatto che ciascuno dei due sta per conto proprio nei fine settimana. Camilla si ritira nella sua amata e "disordinata" casa di campagna nel Wiltshire senza Charles ogni weekend, secondo Ingrid Seward, caporedattrice della rivista Majesty, che ha dichiarato che "in realtà i sovrani trascorrono parecchio tempo separati. La casa di Ray Mill è, se vogliamo, per Camilla una sorta di liberazione dalla vita reale. Prima di sposare Charles, fece un patto con lui: avrebbe tenuto quella casa come rifugio".
"Va ogni fine settimana, quando può, e ci va anche d'estate per trascorrere un po' di tempo con i suoi nipoti e i suoi figli, ed è qualcosa che la allontana dall'intero mondo reale e dove va soprattutto per rilassarsi - racconta l'esperta reale - Molto spesso non va a Highgrove a meno che lei e Charles non abbiano altri impegni. Si tratta di allontanarsi dalle restrizioni dovute alla sicurezza ed essere circondati da personale e persone che fanno cose per te, il che, ovviamente, sarebbe meraviglioso per tutti noi. Penso che nel suo caso abbia bisogno di un posto dove potersi effettivamente rilassare ed essere semplicemente se stessa, e andare in giro con jeans sporchi, se vuole, senza essere costantemente controllata".
Una fonte ha dichiarato all'Express che Camilla "al Ray Mill può sedersi con un grande G&T, togliersi le scarpe e guardare Coronation Street, che Charles detesta". Il re, invece, quando è libero nei weekend, si reca spesso a Highgrove o a Sandringham, mentre durante la settimana i due risiedono insieme a Clarence House. Della residenza di campagna di Camilla nel Wiltshire si è parlato la scorsa settimana, quando si è saputo che il re ha acquistato una casa confinante, che sarebbe stata adibita a sede per matrimoni, pagandola 3 milioni di sterline per proteggere la privacy della moglie.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Il governo si impegni "a sostenere il riconoscimento dello Stato di Palestina, nel rispetto del diritto alla sicurezza dello Stato di Israele, per preservare la realizzazione dell’obiettivo di 'due popoli, due Stati'". E' quanto si legge nella risoluzione Pd sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Inoltre, si chiede di "sostenere il piano arabo per la ricostruzione della Striscia di Gaza ed ogni iniziativa diplomatica volta ad assicurare il rispetto della tregua e un reale rilancio del processo di pace: per la liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, per la protezione dei civili e per la fine delle violenze nei territori palestinesi occupati, per il rispetto della tregua in Libano e per scongiurare il rischio di futuri attacchi da parte di Hezbollah e Iran, nonché le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele e, infine, affinché siano rispettate le risoluzioni delle Nazioni Unite".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Il Pd chiede al governo di "ribadire la ferma contrarietà all'utilizzo dei Fondi di coesione europei per il finanziamento e l'aumento delle spese militari". E' quanto si legge nella risoluzione dem sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Il Pd chiede al governo di "scegliere senza esitazioni e ambiguità, di fronte alle minacce globali e alle sfide inedite rappresentate dalla nuova amministrazione americane, l’interesse europeo, all’interno del quale si promuove e realizza il nostro interesse nazionale, anche una attraverso la costruzione di alleanze, a partire dai paesi fondatori dell’Europa, per collocare l’Italia sulla frontiera più avanzata dell’integrazione contro le spinte disgregatrici e i ripiegamenti nazionalisti". E' quanto si legge nella risoluzione dem sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Ribadire la ferma condanna della grave, inammissibile e ingiustificata aggressione russa dell'Ucraina e a continuare a garantire pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, mediante tutte le forme di assistenza necessarie, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, promuovendo con urgenza un’iniziativa diplomatica e politica autonoma dell'Unione europea, in collaborazione con gli alleati, per il perseguimento di una pace giusta e sicura, che preservi i diritti del popolo ucraino a partire da quello alla propria autoderminazione, l’ordine internazionale basato sulle regole e offra le necessarie garanzie di sicurezza per una soluzione duratura". E' quanto si legge nella risoluzione Pd sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Il piano ReArmEU, proposto dalla Presidente della Commissione europea Von der Leyen, va nella direzione di favorire soprattutto il riarmo dei 27 Stati membri e va radicalmente cambiato, poiché così come presentato non risponde all’esigenza indifferibile di costruire una vera difesa comune che garantisca la deterrenza e un percorso di investimenti comuni in sicurezza realizzati non a detrimento delle priorità sociali, di coesione e sviluppo dell’Unione". Si legge nella risoluzione Pd sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.
"La difesa non può essere considerato un bene pubblico separato dal benessere sociale, ma è parte integrante di una strategia globale che prevede di garantire non solo la sicurezza fisica dei cittadini europei, ma anche la loro sicurezza sociale ed economica: tanto più l’affermazione dei nazionalismi disgregatori dell’unità europea è legata anche alla percezione di insicurezza economica e sociale, nonché alla paura nei confronti delle sfide globali".