Il menu della cena di ieri sera a Bruxelles infatti prevedeva le seguenti pietanze: eurobond (cioè emissioni di debito pubblico garantite dai Paesi dell’euro nel loro insieme), il redemption fund, una garanzia collegiale per la parte di debito che eccede il 60 per cento, considerato la soglia obiettivo. Altre portate, più digeribili dagli stomaci tedeschi: lo scorporo degli investimenti pubblici dal calcolo del debito pubblico ai fini dei vincoli di bilancio, magari con i project bond (che il ministro Corrado Passera già ipotizza in una bozza di decreto) da sperimentare con una prima emissione da 230 milioni di euro e, per dessert, la garanzia europea dei depositi bancari, vera emergenza visto che sta collassando il sistema bancario della Spagna, con il rischio di innescare un’altra ondata di disastri finanziari in tutta la zona euro. Su altri punti c’era già un accordo di massima prima ancora di sedersi a tavola: l’utilizzo del bilancio europeo per misure che producano crescita anche a breve, reimpiego di parte dei fondi strutturali inutilizzati.
La cena di ieri era un preliminare, il debutto di Hollande e la certificazione dell’isolamento della Merkel che ormai può contare soltanto sui piccoli ma agguerriti finlandesi e sul governo popolare di Madrid, perché Mariano Rajoy teme di trovarsi a guidare una nuova Grecia e non osa alzare la voce con gli unici che lo possono salvare. Le decisioni vere si prenderanno al Consiglio europeo del 28 giugno, dieci giorni dopo le nuove elezioni di Atene che saranno di fatto un referendum sull’euro. Con la Bundesbank, la banca centrale tedesca, che ieri ha scritto nel bollettino mensile che un’uscita di Atene sarebbe drammatica ma “gestibile”. A Bruxelles in tanti scommettono che Berlino stia un po’ bluffando e che vuole tenere sotto pressione i partiti e soprattutto gli elettori greci, troppe sono le incognite di un evento senza precedenti come la perdita di un membro dell’euro.
I partecipanti alla cena di ieri sapevano però che una parte del loro interesse nazionale dipende dai destini di Atene, ma non tutto. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, ieri a Bruxelles per l’incontro dei leader del Partito socialista europeo, minaccia: “O avremo risposte europee, o dovremo porre un problema nazionale. Ci servono dei margini, la questione sociale e del lavoro sta montando”. Tradotto: se l’Europa non decide nuove regole comuni che ci permettano di investire e creare occupazione, il governo Monti dovrà concordare delle eccezioni personalizzate, forte del risanamento drastico degli ultimi due anni che ora rende l’Italia molto virtuosa nella dinamica della spesa pubblica (l’avanzo primario, entrate meno le spese prima degli interessi sul debito, sarà nel 2013 oltre il 4 per cento del Pil). Bersani lascia intendere che si potrebbe anche rimettere in discussione il pareggio di bilancio nel 2013, per fare un po’ di spesa pubblica che dia sollievo immediato.
Quello che i mercati vogliono capire però è se i leader europei si sono rassegnati allo sfascio dell’euro, al di là dei piani preventivi per gestire la Grecia, o se sono pronti a fare (quasi) tutto per evitare che la moneta perda i pezzi. Ma bisogna aspettare di conoscere il risultato della cena per capire quanto sono determinati i leader.
Twitter @stefanofeltri
Il Fatto Quotidiano, 24 maggio 2012