Qualche giorno fa un vecchio amico che non sentivo da un bel po’ di anni mi ha chiesto da dove sia nata questa mia passione per la bici.
Sono stato stringato nella risposta, una cosa tipo: “perché non ho tempo da perdere nel traffico e a cercare parcheggio, perché l’auto costa troppo, perché non voglio pagare il bollo e l’assicurazione, perché se ho un problema meccanico lo posso risolvere da solo, perché se non devo mantenere l’auto posso permettermi di guadagnare meno, perché non fa rumore e non inquina”.
Quando si parla di benzina e di inquinamento il primo pensiero va ai gas di scarico che fuoriescono dalla marmitta dopo la combustione: monossido di carbonio, ossidi di azoto, benzene, particolato, etc. Sono quelli che si riversano nella nostra aria e che respiriamo tutti i giorni, ma c’è una forma di inquinamento che ci viene spesso nascosta e che noi stessi cerchiamo di ignorare: è quella generata dall’estrazione e dalla raffinazione del petrolio.
Siamo abituati ad andare a fare benzina alla pompa e a riempire il serbatoio imprecando contro l’ennesimo rincaro dei carburanti pensando di essere i soli a pagare il prezzo della nostra mobilità, ma non è così. C’è qualcuno che paga un prezzo spropositatamente più alto del nostro, ma di cui i giornali e la Tv parlano solo in episodi sporadici, solo quando non ne possono fare a meno.
L’ultima volta che i media ne hanno parlato con dovizia di particolari è stato in occasione del disastro ambientale della Deepwater Horizon del 2010 quando per 106 lunghissimi giorni, milioni di barili di petrolio sono stati sversati nelle acque del Golfo del Messico.
Quello che i media il più delle volte omettono di raccontare è che gli sversamenti di greggio e certe tragedie ambientali sono all’ordine del giorno laggiù dove non arrivano le telecamere dei TG: in Africa. Nel delta del Niger le popolazioni locali sono state espropriate della propria terra, costrette in condizioni di povertà assoluta per fare posto a pozzi petroliferi e a raffinerie che stanno distruggendo qualunque forma di vita. Il documentario che trovate qui lo racconta senza troppi fronzoli: la storia dietro il petrolio che, una volta raffinato, finisce nella pompa del distributore sotto casa, davanti al quale ci lamentiamo ogni volta del crescente prezzo della benzina, senza pensare che neppure un centesimo di quanto esce dalla nostra tasca andrà mai a risarcire le popolazioni nigeriane per tutti i soprusi di cui sono vittime.
È anche per questo motivo che parlo tanto di bicicletta e che non possiedo un’automobile: per evitare nei limiti del possibile di rendermi complice di un sistema criminale, basato sulla violazione costante dei diritti umani e sullo sfruttamento di popolazioni soggiogate dal nostro irrefrenabile desiderio di mobilità.
Ogni volta che facciamo benzina ci rendiamo sempre più complici di questo sistema.
Sto cercando di smettere.