Se si vuole iniziare a superare la crisi non solo economica, ma di sistema che è in corso, è necessario andare oltre gli stereotipi e le frasi fatte degli economisti e dei politici “vecchio stampo” che ancora dominano la scena. A tal proposito, riportiamo un appello, pubblicato oggi su Il Fatto Quotidiano, di un gruppo di imprenditori, tecnici, consulenti ed attivisti del Movimento per la Decrescita Felice che chiedono un cambio di priorità in Italia nelle scelte economiche ed industriali.
Occorre abbandonare il dogma della crescita illimitata. Nell’Universo nulla cresce per sempre. Si tratta solo di un’illusione generata dalla mente dell’homo oeconomicus, specie per cui il Pil è ancora l’indicatore unico ed indiscutibile del nostro benessere.
In tempi normali è sufficiente gestire l’ordinaria amministrazione con accortezza perché tutto proceda bene. Il governo può condurre la sua politica industriale mediando fra gli interessi di ognuna delle parti coinvolte nei processi economici, cercando di trovare punti di incontro per la difesa degli interessi generali. Ma quando, come ora, si vivono grandi cambiamenti epocali, dove masse sempre più grandi di persone soffrono per mancanza di lavoro, occorre rimettere in discussione idee consolidate, in particolare il dogma della crescita continua del Prodotto Interno Lordo.
Vediamo con apprensione che si parla di “Project Bond” per realizzare grandi opere infrastrutturali. Si tratta in pratica di fare ancora altri debiti per realizzare grandi opere finalizzate, più che alla reale utilità, al far ripartire la crescita, come se questa fosse la soluzione ad ogni male.
Ancora grandi opere, ancora a debito… Per riavviare la crescita e poter pagare gli interessi sul debito! Ma che follia è? E in questo teatro dell’assurdo, si inserisce anche il luogo comune del collegamento diretto fra crescita e occupazione. Si dà per scontato che la crescita faccia automaticamente aumentare l’occupazione, ma non è vero e ci sono i numeri a dimostrarlo. Dagli anni ’60 ad oggi il PIL è aumentato di quasi 4 volte, mentre l’occupazione in proporzione all’aumento della popolazione è diminuita!
Ogni imprenditore sa che, nella maggior parte dei settori merceologici, l’aumento della produttività e quindi del PIL, si ottiene con l’automazione e con l’ottimizzazione dei processi produttivi e non aumentando proporzionalmente l’occupazione.
Se si spendono i pochi soldi disponibili, o si creano altri debiti come quelli dei Project Bond, per fare grandi opere infrastrutturali, magari pianificate in altri tempi, prenderebbero gli appalti le solite poche grandi imprese che hanno le attrezzature necessarie. Sarebbero coinvolti qualche decina di subappaltatori e lavorerebbero poche migliaia di operai, visto che il grosso del lavoro lo farebbero le macchine. I denari spesi sarebbero concentrati in poche mani e non servirebbero a riavviare l’economia neanche nei territori interessati dalle stesse opere, perché il grosso degli operai verrebbe da fuori.
Per dimostrare le nostre tesi, abbiamo studiato i dati della galleria per il TAV in val di Susa. Abbiamo scelto questa grande opera a titolo di esempio perché sono disponibili molti dati forniti dal Ministero competente, quindi certi e utili per avviare delle comparazioni. Tali dati indicano che la nuova galleria del TAV consentirebbe di creare 2000 nuovi posti diretti e 4000 indiretti.
In realtà le cifre sembrano ottimistiche, ma anche se si raggiungessero tali obiettivi occupazionali, avremmo al massimo 6000 nuovi posti di lavoro contro un investimento minimo di 8,2 mld di €, ovvero 0,73 nuovi posti per ogni milione di euro investito, sempre che il costo dei lavori non subisca aumenti esponenziali in corso d’opera come è sempre avvenuto fino ad oggi in Italia!
In ogni caso la spesa sarebbe coperta a debito ribaltando ancora una volta il problema sulle generazioni future, che dovrebbero anche sorbirsi i danni ambientali e le spese per l’energia necessaria a illuminare e climatizzare l’opera.
Tutte le grandi opere infrastrutturali hanno per comun denominatore l’uso del debito, di molto cemento, di molta energia e hanno quindi un impatto ambientale molto rilevante. In sintesi si può dire che sull’altare ideologico della crescita del PIL e a favore di pochi soggetti che guadagnerebbero molto denaro, sacrificheremmo ancora una volta l’ambiente, l’occupazione, gli interessi della gran parte della gente ed i diritti delle generazioni future.
Si può fare diversamente? Certo che sì! Bisogna solo cambiare le priorità e spendere il denaro in altro modo, partendo anche dalla consapevolezza che è convenienza di tutti investire subito le poche risorse disponibili in molte migliaia di piccoli e micro cantieri e solo successivamente, eventualmente, in grandi opere infrastrutturali.
I micro cantieri dovrebbero riguardare in primo luogo l’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati. Poi anche le bonifiche ambientali e per la messa in sicurezza del territorio rispetto agli eventi catastrofici. In uno studio dell’ENEA del 2009, si proponevano interventi di riqualificazione energetica in 15.000 scuole ed edifici pubblici, che attualmente spendono circa 1,8 Mld di € ogni anno in energia elettrica e termica. Con gli 8,2 miliardi di € previsti per il TAV si può risparmiare il 20% dei consumi di questi edifici, pari a oltre 420 mln€/anno, e si possono creare almeno 150.000 nuovi posti di lavoro.
Inoltre lavorerebbero decine di migliaia di pmi e artigiani installatori. E siccome a cambiare infissi, montare caldaie di nuova generazione, montare cappotti, costruire case efficienti, rifare tetti, ecc. non servono macchine, ma persone, si darebbe lavoro ad un sacco di gente facendo tra l’altro ripartire in maniera virtuosa il settore dell’edilizia, attualmente in grande sofferenza.
In un articolo apparso il 13 febbraio 2012 sul Sole24ore si legge che investendo un milione di € in progetti di efficienza energetica si generano in media 13 posti di lavoro. Non si parla qui di energie rinnovabili, che pure generano 3 o 4 nuovi posti di lavoro per ogni milione di € investiti, ma del lavoro di “tappare i buchi” dai quali sfugge e viene sprecata gran parte dell’energia che usiamo nell’abitare. Per ogni 10 miliardi di € investiti si possono avere 130.000 nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere daremmo lavoro al massimo a 7.300 persone.
Dobbiamo poi considerare che i costi delle opere di efficientamento si pagherebbero in pochi anni con il risparmio energetico e in meno di un decennio i soldi investiti sarebbero di nuovo disponibili per nuovi utilizzi. Diventerebbero di fatto dei fondi di rotazione. Immediatamente calerebbe la bolletta energetica e l’inquinamento da CO2. Quindi ci guadagneremmo tutti.
Inoltre con commesse piccole e diffuse, i fenomeni di grande corruzione politica, tipici dei grandi appalti, sarebbero certamente meno frequenti. Infine, il denaro speso per far lavorare migliaia e migliaia di piccole imprese e di artigiani, resterebbe nel territorio contribuendo in maniera determinante al riavvio dell’economia.
Noi facciamo appello alla politica perché dia priorità a questi interventi che generano molti benefici per tutti. Le grandi infrastrutture eventualmente si faranno in un secondo momento e solo quando si avrà la certezza che serviranno davvero.
di Maurizio Pallante, Giordano Mancini e altri.