All’indomani del vile attentato di Brindisi, alcune griffe si sono dichiarate disponibili a contribuire al mantenimento della scuola frequentata dalla povera Melissa, la vittima innocente, che sognava la moda. Un’iniziativa che sul web ha suscitato subito indignazione, con l’accusa agli stilisti di voler strumentalizzare l’accaduto o addirittura ottenere visibilità sull’onda di un fatto così tragico. A mio parere il senso di ipocrisia che scaturisce ha una ragione diversa e più complessa. E’ che con tutta la buona volontà, si fa fatica ad accostare il Fashion System e tutto ciò che rappresenta, al concetto di scuola, di pedagogia, di sostegno ai giovani.
E’ risaputo che il mondo della moda prima degli abiti, vende sogni. Gli stilisti lo ripetono ad ogni tornata che “la gente deve continuare a sognare”, in particolare di indossare i loro abiti. Il terreno più fertile di questi sogni sono proprio i più giovani, gli adolescenti che sono in cerca di identità. E le griffe vanno loro in soccorso fornendo una identità semplificata, esteriore, di puro conformismo. Così che nelle città e province proliferano questi adolescenti griffati da capo a piedi, cosparsi di patacconi come cartelloni pubblicitari ambulanti. Il problema è che dietro la facciata si scopre poi un’aridità sconcertante. La stessa della escort Terry De Nicolò secondo cui le belle donne escono, indossano capi preziosi e fanno bene a vendersi, mentre le racchie è meglio che stiano a casa. O della frequentatrice del Bunga Bunga che ricevuti 9mila euro pare sia corsa subito a comprarsi 9 paia di scarpe. O dei giovani friulani che rubavano gioielli di famiglia per andare a comprarsi capi firmati. E mille storie di questo genere, di cui sono piene le cronache degli ultimi anni. Sono questi i sogni da dare ai giovani italiani? A mio parere è sottocultura.
Questa manciata di aziende, si è detto, intendono supportare la scuola di Brindisi. Ma anche queste scuole “di moda” cosa insegnano? Dovrebbero stimolare una seria imprenditoria nel settore, con sguardo globale, in linea con i tempi. E’ di pochi giorni fa la notizia che le catene Zara e H&M considerano l’Italia una terra di conquista, perché indietro in fatto di distribuzione sui prezzi medi, avendo girato e vissuto sul modello boutique/griffe. Questo per esempio dovrebbe essere uno dei temi centrali. E invece in queste accademie illudono i giovani di essere creatori di opere d’arte uniche al mondo, che un giorno lanceranno il grande brand e saranno sotto i riflettori tra Parigi e New York. Ma quel mondo è finito. E’ un modo di pensare legato al montare del debito pubblico, non può prescindere dalla circolazione di denaro facile, da un’idea di consumismo estremo che oggi non è più sostenibile. Diplomare questi studenti è come creare paracadutisti senza paracadute, infatti in buona parte finiscono sottopagati negli uffici stile o commessi negli showroom.
Prima di lanciarsi in dubbie iniziative, il settore dovrebbe ripensare il proprio ruolo, il rapporto col Paese, con la sua economia reale, il valore del lavoro e del prodotto, soprattutto le implicazioni sociali e culturali dei modelli proposti ai giovani.