Cinema

Giornalisti, brutta razza

È tornata di moda la figura del giornalista in libreria e al cinema, nonostante i mass media non godano di buona fama. Ma i buoni romanzi sull’argomento sono rarissimi e le poche volte che riescono di solito se ne fa un brutto film. Einaudi ha pubblicato L’esclusiva, di Annalena McAfee, fondatrice della Guardian Riview, moglie di Ian McEwan. È la storia di Tamara Sim, giovane precaria che scrive di gossip e vede in un difficile incarico la possibilità di riscatto. Un prestigioso supplemento culturale le commissiona un’intervista con la decana del giornalismo britannico, Honor Tait. Bridget Jones vs Oriana Fallaci. Risultato è prevedibile ma lei non demorde e scopre una macchia nella vita dell’ottuagenaria. Si chiama Daniel e fa il gigolò. In un corpo a corpo con la “fonte”, Tamara scopre che la Tait ha abusato di lui quand’era ragazzino. Il finale, da telenovela, riserva un colpo di scena. Ma per arrivarci dovete sciropparvi 300 pagine insulse e senza ironia. Alcuni ingredienti sono presi da romanzi ben più riusciti: L’inviato speciale di Evelyn Waugh (Bompiani) e Igiene dell’assassino di Amélie Nothomb (Guanda): l’articolo commissionato per sbaglio, la scoperta dello scheletro nell’armadio.

Meglio (ri)leggersi L’inviato speciale, meritoriamente ristampato da Bompiani, anche se la prefazione egolatrica di Mario Fortunato è una pisciata fuori dal vaso. Ferocemente ironico come tutti i libri di Waugh, è la storia di William Boot, oscuro corrispondente di campagna che per errore viene mandato in Africa alla vigilia d’un conflitto. Anche se il romanzo è buono, si diceva, se ne fa spesso un film non all’altezza.
The Rum Diary, dove Johnny Depp interpreta un cronista finito in un quotidiano americano a Porto Rico, tradisce il libro (Hunter S. Thompson, Le cronache del rum, Baldini & Castoldi, 2007), soprattutto nel finale, e non ha fatto sfracelli al botteghino. Una storia di fallimento, disillusione, follia e corruzione viene virata in happy ending: lo scalcinato reporter ruba una barca, torna a New York, sposa la bella di turno e diventa un giornalista di successo, terrore di tutti i bastardi! E dire che Depp ha finanziato il funerale dell’amico Thompson facendone sparare in cielo le ceneri.

Pure Bel Ami è andato male a dispetto del cast col vampiro di Twilight, Robert Pattinson, idolo delle ragazzine, nel ruolo del seduttore che si fa strada a Parigi nel giornalismo conquistando una donna dietro l’altra. Neanche Uma Thurman, Christin Scott Thomas e Christina Ricci, le dame che gli ronzano intorno, bastano a salvare il film. Le donne non rivestivano ruoli di potere, ma contavano nella Francia dell’800. Erano gli uomini, i toy boy di turno, a infilarsi nei loro letti per arrivismo. Il giornalismo è uno dei tanti gironi dell’inferno del mondo moderno. Fin dalla prima narrazione sul tema: Illusioni perdute, classico di Balzac non a caso evocato spesso da Giuliano Ferrara nella sua estetica un po’ cinica del mestiere (il direttore del Foglio ha tra l’altro di recente invocato la costituzione del premio Non è giornalismo e si è candidato come vincitore). La Comédie humaine contrapposta a quella divina. A volte, come nel caso della McAfee, il supplizio tocca al lettore.

Per scrivere un buon romanzo sul giornalismo, serve uno scrittore che sia stato giornalista. Come Thompson. O Sergej Dovlatov, che nel bellissimo Il giornale invisibile (Sellerio, 2009) racconta la sua breve avventura come direttore di un giornale russo a New York: “E quello stesso giorno occupammo due stanze all’angolo tra la Broadway e la Quattordicesima. Esattamente di fronte alla casa d’appuntamenti Le ostriche allegre. Nel giardinetto adiacente fioriva un vivace commercio di marijuana. Eppure eravamo felici”. Eppure? La redazione viene distrutta da un incendio, nonostante l’intervento dei pompieri chiamati dalle “ostriche allegre”. Colpo di grazia per un giornale boicottato dall’altra testata russa di New York: più che dal Kgb Dovlatov doveva guardarsi dagli altri dissidenti. Ma non si fa alibi e scrive: “Purtroppo la nostra vita viene scritta senza brutta copia… Correggere i refusi non sarà possibile”.

La vita dei giornalisti è soggetta al refuso, non solo quella professionale. Raramente si riesce a raccontarla, soprattutto quella ambientata in tempi recenti, priva com’è di riverberi romantici.

Il Fatto Quotidiano, 23 Maggio 2012